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MANGA.IT FANFIC
Categoria: Originali (inventate)
Titolo Fanfic: PRIMA DELL'ALBA
Genere: Sentimentale, Romantico, Soprannaturale, Dark
Rating: Vietato Minori 18 anni
Autore: sophia-carter galleria  scrivi - profilo
Pubblicata: 14/07/2009 11:04:33

(storia di vampiri ambientata nell'800) Julian Cain Habington III rischia di morire di tubercolosi, ma una donna gli offre una possibilità di scampo…
 
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- Capitolo 1° -

Tutti i personaggi di questa storia sono maggiorenni, i fatti e i personaggi non sono esistiti o esistenti


Il sole…
Astronomicamente parlando è una stella che brucia ad anni luce di distanza dalla terra e che morirà tra circa cinque miliardi di anni.
Ma per me… è tutto ciò che desidero da oltre un secolo e che non avrò mai più. Addio sole… addio ai tuoi raggi caldi sulla pelle, al tuo infondere buon umore ovunque…
Il mio ultimo tramonto lo vidi al sorgere dei miei vent’anni. Correva l’anno milleottocentodiciotto. Il ventun aprile mi ammalai gravemente. Ormai per me non c’era niente da fare. Tubercolosi. Praticamente incurabile nel diciannovesimo secolo. Ma mio padre, un conte molto influente sulla società di allora, chiamò i migliori medici affinché mi curassero. Ero il secondogenito, ma per lui ero il figlio prediletto. Avrebbe fatto qualsiasi cosa per salvarmi. Quando gli comunicarono che non c’era niente da fare, si convinse che la cosa migliore per me, fosse passare gli ultimi giorni di vita in una corsia per moribondi al miglior ospedale del paese.
E così mi ritrovai in un letto d’ospedale, strappato dal conforto della casa paterna, in mezzo ad altri moribondi per cui era ormai vano ogni tentativo di salvezza.
Sarei morto lì. Ne ero perfettamente consapevole. Morto da solo, con la sola compagnia di sconosciuti, ignorato dalla propria famiglia.
E mi chiedevo con rabbia come avesse potuto abbandonarmi mio padre che diceva di amarmi così tanto e che ora faceva finta di non aver mai avuto un figlio di nome Julian Cain Habington III, che portava addirittura il suo nome e il nome di suo padre.
Non potevo pensare ad altro… solo che ero stato rinnegato… abbandonato… e intanto covavo dentro di me una rabbia accecante che non avrebbe mai avuto sfogo e che sarebbe morta con me.
Passavo le notti sveglio, ad ascoltare le urla di disperazione degli altri malati, fissando il soffitto, che ormai odiavo, e cercando di ignorare ogni cosa che mi circondava. Non potevo dormire, continuamente scosso da accessi di tosse pieni di sangue e dolore.
Passare i miei ultimi giorni così… non lo avrei permesso. Tanto valeva morire subito e in modo indolore.
Di notte le infermiere, più che controllare noi pazienti, sonnecchiavano da qualche parte, non sarebbe stato poi così difficile raggiungere il terrazzo e poi…
Mentre arrancavo per i corridoi bui già mi immaginavo mia madre disperata al mio funerale. Ai suicidi era riservato l’inferno e lei credeva così fermamente in Dio. Io ormai avevo smesso di crederci. Avevo gettato il rosario che lei mi aveva regalato lo stesso giorno che mi avevano lasciato in quel posto maledetto…
Come poteva esistere un Dio se c’era così tanta sofferenza per i suoi fedeli?
L’aria fresca della notte era un sollievo per il mio corpo febbricitante. Mi avvicinai al parapetto e mi appoggiai con le braccia tremanti. Non so cosa mi avesse dato la forza di arrivare fin lì, ormai prossimo alla morte.
Chissà… forse l’idea di farla finita. Di chiudere definitivamente la mia vita…
E fissando il vuoto sotto di me ripensavo a come avevo trascorso quegli ultimi vent’anni…
Ero nato a Nuova York nel 1798. Mia madre aveva sposato mio padre, un conte, solo quattro anni prima e già aveva mio fratello, John Richard Habington. Quando nacqui io John aveva tre anni.
Mia madre era molto più giovane di mio padre. Sarebbe potuta essere sua figlia. Lei aveva solo sedici anni quando lo aveva sposato, lui ne aveva trentanove.
Com’era bella mia madre… con i lunghi capelli scuri e i brillanti occhi verdi. Dicevano tutti che le assomigliavo. Mio fratello invece era molto più simile a mio padre, biondo e con freddi occhi azzurri.
Mio padre, Julian Cain Habington II, era una persona molto austera e severa. Aveva provveduto all’educazione mia e di John nel migliore dei modi, pagando i più ricchi insegnanti dell’America. E io e John crescevamo con Shakespeare… studiando la geografia e la matematica… imparando le buone maniere, come un gentiluomo che si rispetti. Ma crescemmo anche cullati dall’amore di nostra madre, e dai nostri giochi tra fratelli. Eravamo molto complici noi tre. Come dimenticare le giornate passate a rincorrerci nel grande giardino della nostra tenuta, accompagnati dalla risata cristallina di nostra madre… quel suo splendido sorriso che incurvava in modo tanto meraviglioso le sue labbra rosse e lucide. I suoi occhi si accendevano di gioia, mentre ci rincorreva e si rotolava nell’erba con noi. Quell’erba che sapeva di buono… di casa… di lei… Coral Selene-Habington…
Così bella e meravigliosa che a volte era proprio impossibile non fissarla imbambolato, mentre sdraiato sul prato ascoltavo i suoi racconti pieni di magia, o seduto ai piedi di un albero assaggiavo i dolcissimi frutti che lei mi offriva con le sue mani lunghe e affusolate, così eleganti e così tenere nell’accarezzarmi il volto.
Madre… mai più l’avrei rivista… mi rattristava darle un tale dispiacere. Credeva fermamente in un Dio che ci aveva creati con amore… ci credeva così tanto da portare me e John a Messa ogni domenica. E io e John avevamo imparato ogni preghiera e recitavamo il rosario ogni sera e cantavamo a squarciagola le canzoni che insegnavano in chiesa.
Eppure in quel momento… sospeso tra la vita e la morte… non credevo più a niente… tanto meno in Dio…
Ormai ero deciso a farlo… in fondo ero sempre stato una “testa calda” come amava definirmi John.
A quindici anni mi ero tuffato nel fiume in pieno inverno per recuperare il cappellino della dolce Sarah, una mia amica, a cui ero più che affezionato. Dei ragazzi più grandi di noi l’avevano importunata e alla fine avevano gettato il suo cappello nel fiume. Non ci avevo pensato due volte a gettarmi per recuperarlo sotto lo sguardo attonito di Sarah e di mio fratello.
Il giorno dopo ero a letto con una brutta polmonite, ma me l’ero cavata… e Sarah si era sposata l’anno dopo con uno dei ragazzi che le avevano dato fastidio…
Com’era strano ricordare quelle cose in quel momento… mi sembrava fossero passati anni e anni…
Era tardi per tornare indietro. Non avevo intenzione di ripensarci. Tremavo, ma avevo ancora la forza per quel gesto estremo.
Improvvisamente un fruscio alle mie spalle. Mi voltai di scatto, ma non vidi nessuno.
-Poveri umani…- una voce nell’ombra -Così deboli… la vostra vita è così precaria…-
-Chi sei?- chiesi, più curioso che spaventato. Quella era una voce di donna.
Uscì dall’ombra e rimasi affascinato dalla sua incredibile bellezza. Alta… snella, indossava abiti elegantissimi e un mantello di seta… i suoi capelli biondi erano raccolti in una crocchia e i suoi occhi azzurro ghiaccio erano così innaturali. Ma ciò che mi colpì di più fu la sua pelle diafana. Sembrava un antica statua d’avorio, bianca com’era…
Le unghie e le labbra scarlatte erano in netto contrasto con quella pelle marmorea.
-Mi chiamo Pearl…- rispose in un sussurro suadente.
Mi sfiorò il volto con la sua mano bianca, incredibilmente gelida. Qualcosa mi diceva di diffidare di lei. Era così… inumana. Eppure ero troppo affascinato per temerla.
Poggiò la sua guancia contro la mia e mi sussurrò in un orecchio -Ti voglio…-
Il suo soffio leggero mi fece correre dei brividi lungo la schiena. Stavo per dirle che non le conveniva, giacché ero praticamente morto, ma un accesso di tosse mi colse proprio in quel momento. Mi sentii svenire, forse era la fine…
Potevo sentire il sapore del sangue in bocca. Lei mi fissò in silenzio, per niente turbata.
-Povero, fragile umano…- disse con la sua voce morbida e armoniosa, che sembrava più il sibilo del vento che una vera e propria voce.
Con un dito asciugò il sangue che colava lungo il mio mento e se lo portò alla bocca. La fissai allibito.
Lei rise. Una risata roboante, ma piacevole…
Mi cinse con le sue braccia e mi strinse a se. Aveva un profumo dolce, di fiori. Era piacevole. Affondò una mano tra i miei capelli e il volto tra il mio collo e la mia spalla, e lì trasse un lungo respiro. Rimanemmo così per non so quanto. Le sue labbra sul mio collo mi facevano rabbrividire.
-Il tuo odore…- disse in un mormorio -È così… buono e il sapore del tuo sangue…-
Ero troppo scosso dalla febbre per rendermi conto che non era normale parlare del sapore del sangue…
Mi guardò negli occhi -Io posso darti la vita eterna se vuoi…- disse seria, nel suo solito sussurro-mormorio. -Niente più malattie… niente più sofferenze… tutti i tuoi ricordi umani saranno solo fantasmi del passato… se tu lo vuoi vivrai per sempre e sarai giovane per sempre…-
In quel momento mi sembrò un’offerta decisamente allettante. In fondo non mi era rimasto poi molto tempo. Quale altra scelta avevo? Le parole di quella sconosciuta non mi sembravano poi così assurde e io non volevo morire.
Assentii con il capo e lei sorrise.
-Tuttavia devo avvertirti…- sussurrò ancora contro il mio collo –Non sarà indolore…-
Non mi importava… dolore… sarebbe stato niente in confronto a quello che stavo passando…
-Allora vieni con me…-
Mi prese la mano, intrecciando le sue piccole affusolate dita con le mie. Discendemmo fino al piano terra e uscimmo nuovamente all’aria aperta.
Non mi lasciava la mano, quasi temesse che interrompendo il contatto tra noi potessi spegnermi nella morte.
E io la seguivo come ipnotizzato, ascoltando le sue risatine nella notte… splendide risate che ricordavano tanto quelle di mia madre…
Ci allontanammo dalla strada, inoltrandoci nella vegetazione di un parco. Lì ci abbandonammo sull’erba. Era davvero la notte più singolare della mia vita. Stavo sicuramente sognando… o forse ero già morto… ma non me ne importava… dopo giorni di sofferenza, stavo così bene.
Si stese su di me, senza pudore… senza imbarazzo… e prese a baciarmi lentamente sul collo…
Mi bloccò le mani con le sue e improvvisamente sentii un dolore acuto… mi aveva morso… aveva affondato i suoi canini nel mio collo… sulle prime mi agitai, cercando di liberarmi… poi… a mano a mano che lei succhiava sempre di più il mio sangue, iniziai a rilassarmi… o forse era perché le forze mi stavano abbandonando…
E la vita defluiva da me entrando in lei… mi abbandonai completamente… sentivo il mio cuore diminuire i battiti… mi sentivo tuttavia elettrizzato…
Si staccò da me…
Si morse un polso e lo avvicinò alle mie labbra –Devi bere se non vuoi morire- sussurrò.
E mi attaccai al suo polso con tutte le mie forze e bevvi. E non appena il suo sangue sgorgò in me, mi sentii improvvisamente rinvigorito. E i battiti del mio cuore erano ricominciati… dapprima in un cupo mormorio… poi sempre più forte… e accecato da non so quale forza continuavo a bere… e a bere e non volevo lasciarla, fino a che non allontanò il braccio con forza da me. Cadde seduta, all’indietro e mi fissò tranquilla.
Provai a mettermi seduto, ma un dolore sordo colse tutto il mio corpo… rimasi inchiodato a terra e rimasi senza respiro.
Bruciavo! Tutto il mio essere bruciava… e il dolore diventava sempre più forte. Inarcai la schiena e tirai la testa indietro in un urlo muto.
Altro che salvezza! Stavo morendo! Perché non poteva essere altrimenti… quel dolore era terribile e non poteva che essere la morte!
Allora quello era stato tutto un sogno. La donna non esisteva e nemmeno la vita eterna.
Mi voltai su un fianco e mi raggomitolai su me stesso, sperando che il bruciore finisse… invece era ancora così vivido… non avevo mai provato una cosa del genere.
Finalmente riuscii ad emettere un urlo liberatorio che squarciò il silenzio di quella notte. Improvvisamente il dolore, com’era arrivato, passò.
Rimasi a terra ansimante e sbattei ripetutamente le palpebre. Se prima vedevo tutto sfocato, ora la mia vista era perfetta… mi sembrava di vedere molto meglio di notte che di giorno. Mi misi seduto e mi guardai attorno. All'improvviso la notte mi sembrava così bella e io mi sentivo così… vivo!
Ero vivo e sapevo che ormai in me non vi era più traccia della malattia che mi stava uccidendo.
Guardai Pearl e lei sorrise, mostrandomi i lunghi canini. La fissai affascinato e sporsi a sfiorare il suo viso, ma mi bloccai e fissai la mia mano… marmorea… perfetta…
E la fissai a lungo come se non l’avessi mai vista…
Di sicuro era la prima volta che mi trovavo davanti ad una mano simile… così bianca e liscia…
Pearl rise, con la sua solita risata roboante ma dolce…
Si alzò e mi prese le mani, facendomi alzare. La seguii e improvvisamente mi sembrò ancora più bella. Le sue labbra si muovevano veloci e la sua voce era un sussurro quasi inesistente che a un comune orecchio non sarebbe arrivato, ma io potevo sentirla benissimo.
-Ora io e te siamo legati… vieni a specchiarti… ma non innamorarti della tua immagine o farai la fine di Narciso…-
C’era un laghetto lì vicino. Mi inginocchiai e fissai la mia immagine, sbalordito. Non sembravo quasi più io…
La mia pelle era liscia e perlacea… i miei occhi erano di un verde luminoso, caratterizzati da una pupilla verticale. Il mio viso non era più smagrito e le occhiaie erano sparite, non vi era un imperfezione nei miei lineamenti. Nei capelli, lisci, non vi era un nodo, e leggermente lunghi mi solleticavano il volto con le punte.
Pearl si chinò accanto a me –Sei bellissimo- disse baciandomi la mano. La guardai negli occhi azzurri.
-Ora dimmi il tuo nome…- aggiunse.
Esitai e decisi che nella mia nuova vita non avrei usato il mio primo nome… -Mi chiamo Cain…- dissi.
-Benvenuto, Cain-
Pearl mi baciò sulle labbra. Poi mi prese nuovamente per mano –Voglio farti conoscere la mia famiglia- disse –Da ora ne fai parte anche tu-
Lasciammo il parco. Mi guardavo attorno come se non avessi mai visto quelle case… quelle strade… in vita mia…
Mi sembrava tutto nuovo… ed era tutto così affascinante illuminato dai raggi della luna piena.
Io e Pearl ci muovevamo silenziosi per le strade, come due fantasmi…
Lei, aggraziata, sembrava danzare sulle punte, mentre camminava leggiadra… io, silenzioso e agile, sembravo una pantera pronta ad agguantare una preda.
Sapevo che ai miei occhi ci stavamo muovendo ad una velocità normale, ma che l’occhio umano non avrebbe potuto scorgerci.
Ormai usavo il termine “umano” come se per me fosse una cosa dimenticata, come se non lo fossi stato anch’io fino a cinque minuti prima. Ormai faceva parte della mia vecchia vita. Ero rinato… io ero Cain, figlio della notte…
-Eccoci- il solito sibilo di vento di Pearl.
Ci fermammo davanti ad una splendida villa, così grande che avrebbe potuto ospitare senza problemi cinquanta persone e tutte avrebbero avuto una stanza privata.
Pearl entrò. L’ingresso era buio. Si avvicinò ad una candela e vi soffiò sopra. Quella si accese seguita da tutte le altre.
E la casa si illuminò, mostrandosi nel suo splendore.
-Bentornata- disse una pacata voce maschile.
Pearl sorrise. Nel salotto, comodamente seduto su una poltrona vi era un giovane affascinante. Stessa pelle diafana di Pearl…
Non dimostrava più di venticinque anni. Era vestito in modo molto elegante e impeccabile. Teneva le gambe incrociate e in grembo, aperto, aveva un libro. Non mi chiesi come fosse riuscito a leggerlo nel buio, ormai lo sapevo. Noi vedevamo anche nel buio più totale.
-Ciao Samuel- disse Pearl sedendosi sul bracciolo.
-Pearl…- sospirò lui osservandomi. –Non dirmi che ci hai provato di nuovo…-
-E come puoi vedere ci sono riuscita… è uno di noi- disse lei soddisfatta.
Non stavo ascoltando molto attentamente la loro conversazione, impegnato com’ero a guardarmi attorno. Trovavo addirittura affascinante la carta da parati.
Sentii Samuel sbuffare e poi ridacchiare sotto voce –Si vede che è nuovo…-
Qualcuno scese le scale in quel momento. Una ragazza e un uomo, entrambi bellissimi. Lei dimostrava ventidue anni all’incirca e aveva riccioli scuri lunghi fino alla vita e occhi dello stesso colore.
Lui era alto e muscoloso e aveva corti capelli biondi e occhi azzurri. Indossavano anche loro degli abiti elegantissimi.
-James, Blanche- disse Pearl con un cenno del capo.
-Pearl! Bentornata!- esclamò Blanche con un sorriso –Com’è andata la cacci…- e si bloccò nel notarmi.
-Alla fine ci sei riuscita- disse James avvicinandosi a me e prendendomi il mento con una mano. Mi fissò negli occhi, ma non mi sentii per niente turbato da tanta confidenza. –Come ti chiami?- mi chiese.
-Cain- risposi.
-Benvenuto nella nostra famiglia Cain!- disse Blanche prendendomi le mani e dandomi un bacio sulla guancia.
-Grazie…- dissi.
-Vieni, Cain… vieni con me…- disse Pearl prendendomi per mano. Mi portò in giardino…
Meraviglioso e più grande del parco in cui eravamo stati quella sera…
Pearl si sedette sul bordo della fontana e mi fissò, invitandomi a sedermi con lo sguardo. Mi sedetti accanto a lei e iniziai a giocare con i riccioli della sua acconciatura.
-C’è niente che vuoi sapere di noi?- sussurrò.
-Sì… tu quando sei rinata?-
-Nel 1750… avevo 28 anni. È stato James a crearmi. Blanche è rinata nel 1800 e aveva ventidue anni e Samuel nel 1798. Aveva venticinque anni. James è il nostro “padre”. È il più vecchio di tutti noi. È rinato nel 1700…- spiegò Pearl.
-Possiamo morire?-
-Sì… il fuoco può ucciderci. Possiamo morire anche se smembrati o se colpiti al cuore…-
-E le croci… la luce del sole…-
-Blanche va a messa tutte le domeniche e tiene al collo un rosario…- disse Pearl divertita –Per quanto riguarda la luce del sole, non può ucciderci, ma non osare mai esporti ad essa, le conseguenze sarebbero orribili…-
Non chiesi cosa potesse accadere e comunque lo scoprii a mie spese alla mia prima alba da immortale. Rimasi ustionato. E così scoprii che il sole ci ustionava dolorosamente, anche il più debole sole di pieno inverno coperto dalle nubi ci nuoceva.
-Sei uno sciocco!- disse Samuel divertito quando mi bruciai –Credevo che Pearl ti avesse avvertito! Se non fossi stato così curioso-
Mi avventai furioso su di lui, ma James mi bloccò –Controllati. Non voglio risse in casa. Se non ti piacciamo te ne vai- mi disse.
Certo… ultimo arrivato, primo ad andarsene se qualcosa non andava.
Le mie bruciature ci misero un giorno intero a guarire, ma non erano quelle a turbarmi. Qualcosa stava accadendo in me… qualcosa che non capivo e che mi stupiva… mi confondeva…
Della maggior parte delle cose ero consapevole, come se quella conoscenza fosse sempre stata in me e solo ora era emersa… ma questo proprio non lo capivo…
Mi sentivo affamato… ma non di cibo… di sangue… sentivo che il mio essere era esanime senza e che ne avevo assolutamente bisogno.
Inoltre i canini mi procuravano un certo fastidio. Dovevano ancora crescere del tutto…
-Vogliamo andare?- fece Pearl affacciandosi nel bagno dove mi stavo guardando allo specchio.
Eravamo tutti così eleganti quella sera, come se dovessimo andare a teatro o a cena fuori in qualche ristorante importante.
-Questo completo ti sta benissimo- disse Pearl abbracciandomi da dietro e inspirando il mio odore. Mi voltai e l’abbracciai, affondando il volto nei suoi capelli morbidi e inebriandomi del suo buon profumo.
Una voce secca ci riportò alla realtà.
-Muoviti, novellino- fece Samuel passando davanti al bagno.
Io e Pearl sciogliemmo l’abbraccio e uscimmo dalla stanza.
Non avevo idea di come si cacciasse, ma Pearl disse che non potevano insegnarmi, che dovevo seguire il mio istinto. Disse che sarebbe stato naturale…
Dovevamo cacciare da soli. Per quanto i vampiri amassero vivere in gruppi numerosi, erano cacciatori solitari…
-Ci rivediamo a casa…- fece Pearl prima di dileguarsi nell’ombra.
Mi sistemai il cappello a cilindro e il mantello nero, poi iniziai a passeggiare per le strade guardandomi attorno. Mi meravigliai di come ognuno di loro, degli esseri umani, avesse un odore diverso. Alcuni mi attiravano molto… altri per niente, ma fino ad allora nessuno aveva attirato tanto la mia attenzione.
Fino a che non arrivai nella piazza. Lì fui folgorato da un odore che mi fece voltare a destra e a sinistra, alla ricerca del suo proprietario. Fu allora che scorsi una ragazza seduta su una panca.
Indossava un abito di seta, uno degli ultimi modelli parigini, uno dei migliori. I suoi capelli rosso fuoco ricadevano in riccioli che le incorniciavano elegantemente il volto. Il suo odore… sapeva di fiori di pesco…
I miei occhi brillarono vogliosi nel buio. Mi avvicinai a lei e fece un elegante inchino.
Mi fissò affascinata.
-Buonasera- dissi non a voce molto alta. Quel tanto che bastava affinché lei mi sentisse. –Siete sola? O attendete qualcuno?-
-No…- rispose –Non attendo nessuno!-
Era chiaro che mentiva. Lo capivo da come i battiti del suo cuore erano aumentati e da come le sue gote si erano colorate di rosso.
-Allora non vi dispiace se vi invito a fare una passeggiata- tesi una mano verso di lei.
-Con vero piacere- prese la mia mano con un sorriso e si alzò.
Il suo odore mi inebriò di nuovo e dovetti fare uno sforzo immane per non saltarle addosso, lì, davanti a tutti.
Sapevo che non avrei potuto resistere ancora a lungo… ero ancora inesperto e non riuscivo a controllare molto bene i miei istinti. Passeggiavamo per le strade affollate e lei chiacchierava, ma io non riuscivo ad udire nemmeno una sua parola, ero concentrato sul mio autocontrollo. All’improvviso l’afferrai per un braccio e la trascinai in un vicoletto buio e deserto. La spinsi contro un muro.
-Guardate che sono una donna dabbene io…- disse in un sussurro affannato, ma l’attimo dopo mi cinse il collo con le braccia e prese a baciarmi con vigore. Il suo sapore era molto meglio del suo odore! E l’assaggiai con le mie labbra, catturando le sue.
Sapeva di miele…
Le scansai i capelli e vidi la vena pulsante del suo collo. Vi posai le labbra e la baciai. La sentivo fremere e ansimare e le tirai giù il vestito, scoprendole una spalla, baciando anch’essa…
Tornai sul collo e presi a mordicchiarlo, alla fine tentai di affondarvi i canini, ma non erano ancora del tutto cresciuti e non vi riuscii. Lei si ritrasse sorpresa e mi guardò, d’improvviso turbata. Si portò una mano al collo e indietreggiò. Prima che potesse fare altro l’assalii. Le lacerai la carne come meglio potevo e lei gridò. Le tappai la bocca con una mano e cademmo a terra. La bloccai con il peso del mio corpo, mentre lei si agitava terrorizzata. Dalla sua vena lacerata il sangue zampillava a fiotti. Rimasi a fissarlo con gli occhi sbarrati. Ormai mi stava imbrattando tutti gli abiti. Ma non era quello a bloccarmi, ma le calde lacrime della ragazza che bagnarono la mia mano, quella che le teneva chiusa la bocca.
La lasciai andare e mi alzai di scatto. Lei iniziò a gridare, con voce rotta dal pianto.
Io indietreggiai, confuso. E lei gridava e sicuramente qualcuno avrebbe udito le sue urla prima o poi, ma non riuscivo a fermarla. Improvvisamente un’ombra scura mi passò velocemente accanto e le afferrò la testa. Le spezzò il collo con uno scatto. Le sue urla si spensero.
-Sei un idiota!- ringhiò una voce. Due occhi rossi mi fissarono furiosi. Quegli occhi appartenevano a Samuel. Non dissi niente, ancora shockato dalla scena brutale a cui avevo appena assistito.
Samuel mi afferrò per le spalle e mi trascinò nell’ombra –Che cosa avevi in mente, eh?- chiese rabbioso –Vuoi farti scoprire?? Dovevi berne subito il sangue, non fissarla come uno stupido mentre chiedeva aiuto…-
Nel frattempo i passanti, attirati dalle urla della giovane, stavano accorrendo.
-Andiamocene- fece Samuel a denti stretti e mi strattonò per il mantello.
Mi voltai, ma scoprii che era un vicolo cieco. Non saremmo potuti andare da nessuna parte. Ma prima che potessi aprire bocca, Samuel aveva già spiccato un salto sul tetto di una villa. Lo fissai perplesso.
-Ti vuoi muovere?- sbottò dimenticandosi di parlare con il nostro solito sussurro inumano.
Uno dei passanti accorsi lo sentì –C’è qualcuno?-
D’improvviso, agitato, saltai anch’io sul tetto e scoprii di essere agile quanto Samuel! Lo seguii lungo i tetti, turbato da quanto era accaduto… avevo appena cercato di uccidere quella ragazza innocente… un’umana… e fino al giorno prima anch’io lo ero e come lei ero stato preda di uno di noi…
Afferrai Samuel e lo gettai a terra con un ringhio. Mi guardò leggermente sorpreso.
-Perché l’hai uccisa??- chiesi in preda all’ira.
-Ma sei stupido o che??- fece di rimando lui –Era già praticamente morta! Ho solo alleviato le sue sofferenze!-
-No! Hai fatto in modo che smettesse di gridare!-
-Credi che le persone sopravvivano dopo che abbiamo bevuto il loro sangue?? Muoiono non appena le lasci andare! E se non hai intenzione di ucciderle e di far il buon samaritano… be’, per me puoi anche morire di fame! Ma dovrai arrenderti presto, l’istinto è più forte della ragione- disse Samuel. Si liberò dalla mia stretta e si alzò.
Si diede una rassettata ai vestiti e poi saltò giù, sparendo nell’oscurità. Rimasi seduto su quel tetto non so quanto, a pensare.
Dunque per sopravvivere dovevamo uccidere altre persone… berne il sangue… dissanguarle fino all’ultima goccia. Avevo ancora in testa gli occhi terrorizzati di quella ragazza e non li avrei dimenticati molto facilmente. Cosa ero diventato?
Per salvarmi dalla morte ero diventato un mostro che porta morte…
Un maledetto angelo nero che si aggira di notte e uccide come se niente fosse e si sceglie le sue vittime come se stesse leggendo il menu di un ristorante.
Perché era così che avevo fatto io. Captavo i loro odori e alla fine avevo scelto quello che mi aggradava di più. Quella fanciulla era poco più di un adolescente e io l’avevo strappata alla vita così. Con il mio udito fine riuscivo a sentire i pianti disperati dei suoi parenti che si accalcavano attorno al suo corpo. La madre stava invocando Dio…
Mi tappai le orecchie e serrai gli occhi. Non volevo sentire… non volevo vedere. Ma come avevo potuto?
Una mano si posò sulla mia e la scansò dal mio orecchio. Il sussurro di Pearl mi giunse così vicino che ne sentii il soffio leggero sulla pelle.
-Non hai fatto niente di male. Hai solo cercato di sopravvivere…-
-Perché?? Perché il loro sangue!? Uccidere altra gente solo per salvare la mia vita!- dissi.
-È quello che sei ora e non puoi rifiutarti… devi mangiare… altrimenti perderai prima la ragione e poi la vita-
-Era il mio destino fin dall’inizio! Stavo morendo quando mi hai portato via da quel luogo- e più parlavo e più mi rendevo che poco e niente ricordavo della mia vita umana. I miei giochi da bambino… e tutto ciò che avevo passato in quei vent’anni… il volto di mio padre… di mio fratello… erano sfumati.
Solo il ricordo di mia madre era ancora terribilmente vivido e provai l’impulso di rivederla, di abbracciarla, sentirne il buon profumo e la dolce risata cristallina.
Mi alzai di scatto.
-Dove vai?- chiese Pearl in un soffio.
-Perché? Non lo sai?- risposi e saltai giù.
Ricordavo ancora dove abitavo quando ero… vivo…
CONTINUA

 
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VOTO: (2 voti, 2 commenti)
 
COMMENTI:
Trovati 2 commenti
necropoiana - Voto: 27/07/09 18:36
L'inizio è grazioso, in particolare l'invito/insulto della bella ragazza mi piace molto. E' sicuramente simile al mio stile :)
non mi piace molto il nome della tipa però, cioè "pearl"! blanche invece è carino. E' curioso che pochi qui abbiano i capelli neri, di solito è quasi scontato per i vampiri...
scusa se mi sono soffermata sui particolari! usi uno stile molto particolare, se non si legge con attenzione sembra apatico, ma in realtà riesce a catturare: dipende dallo spirito della persona che legge, penso. Noto che ripeti alcuni concetti, probabilmente hai paura che non arrivino a destinazione, ma non ti preoccupare! scelta azzeccatissima per il protagonista U_U figa pure la scena d'azione!
chiedo scusa se magari mi sono soffermata su alcuni punti negativi, mi chiedo perchè tutti i vampiristi che circolano su questo sito abbiano ignorato la tua fanfic o___O...probabilmente è solo questione di tempo. Chi li capisce, i twilightari...
D'accordo con il commento: 0, e Tu? / No   |   Segnala abuso Rispondi

purpleyes17 - Voto: 19/07/09 19:56
vampiri...*ç*
intrigante come inizio...assomiglia in parte a "intervista col vampiro"...
continua presto^^
ciaooooo
D'accordo con il commento: 0, e Tu? / No   |   Segnala abuso Rispondi

 
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