-UDITO-
- Capitolo 1° -
L'ansia stava prendendo il sopravvento, lo sentivo.Tardi, cazzo! Il riassunto della mia vita:essere puntuali era impossibile, eppure conoscevo esattamente-intendo nei minimi particolari- le conseguenze.
La paura mi è sempre piaciuta, una di quelle piccole cose che ti colmano di sensazioni, negative ok, ma vibranti e vive. Qualcuno mi ha suggerito di drogarmi, ma preferisco essere padrone di me stesso; non voglio ottenebrare i miei sensi, li voglio sentire come un compositore sente la sua sua musica, come uno scultore vede la statua dentro al blocco di marmo.
Correndo ero arrivato alla porta nascosta in un vocolo che accede alle scale del locale, scendendole, potevo sentire le note di Spitfire pulsare attraverso le mie costole in modo quasi doloroso:il mio brano,merda!
Mi sono catapultato all'entrata iniziando a spogliarmi direttamente lì, al guardaroba. Gettando uno sguardo colpevole alla console, il dj mi indicava con un cenno che avrebbe allungato l'intro per darmi tempo, mentre un'altro sguardo, glaciale, mi perforava da poco più in alto al privè con vetri a specchio che dominava la sala.Non potevo vederlo, ma lo sentivo; ero certo che Lui guardasse l'orologio stringendo il pugno al pensiero di ciò che mi avrebbe fatto dopo...l'angoscia saliva facendomi tremare leggermente le ginocchia. I vent'anni non avevo mai provato paura nel ballare e appena balzato sul palco dall'entrata principale il tempo divenne quello della musica. Il dj scivola con le dita sui comendi e il ritmo esplode invadendo i miei organi, diventando tutt'uno con i miei muscoli e i passi naturali come il respiro, in pochi attimi il mio partner iniziava la sua sequenza avvicinandosi fino ad afferrarmi: le figure esprimevano cattura, sottomissione e erotismo in ogni gesto, fino all'ultimo mentre mi strappava la cinghia che mi legava il collo, lasciandomi libero nel buio dei riflettori spenti. Sipario calato. il ritorno al presente, con tutta l'angoscia che mi aveva aspettato dietro una fragile diga, erano tornati mozzandomi il fiato. Il respiro diventò sempre più corto ad ogni passo perchè stavo andando da Lui; rimandare era inutile.
Il privè era quasi completamente buio, ma intravedevo uomini seduti sulle poltroncine in pelle diposte a semicerchio davanti al pouf di velluto a me così familiare...poi un leggero tocco alle mie spalle subito seguito dal mio nome, detto con quella voce così profonda;ero sicuro che da così vicino potesse sentire il mio cuore a mille e invece mi sono ritrovato a carponi sul pouf a implorare per il mio braccio torto dietro laschiena. Dolore, brociore si infrangevano attraverso la mia spina dorsale fino al cervello,meraviglioso. Ero nella posizione che Lui preferiva e me ne vergognavo: con la faccia spinta in basso, sembrava volessi esporre la mia intimità con movimenti del bacino molto eloquenti, che in realtà mi servivano a mantenere l'equilibrio instabile sul morbodo velluto. Sentivo le sue mani denudarmi e farsi insistenti e nello stesso tempo lasciandomi in sospeso, finchè la tensione intorno a noi non si fece tangibile. Solo allora mi strinse, afferrandomi le parti che sapeva essere le più sensibili e si avvicinò sussurrando una parola...un ordine duro e perentorio, che gli altri presenti non udirono, ma che mi aveva fatto venire all'istante, incapace di trattenere un rantolo di piacere.
La paura era scomparsa, e così l'angoscia in un limbo di piacere a occhi aperti, ma un solo sguardo da parte sua, e quella strisciante sensazione rinasceva in me, angoscia senza fine.
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Kal (L'autore)