CAPITOLO 1
- Capitolo 1° -
"Tutti i personaggi di questa storia sono maggiorenni, i fatti e i personaggi non sono esistiti o esistenti."
Sigillo.
Capitolo 1
Nel medesimo istante della notte primaverile la notte stellata fu squarciata dal pianto bramante aria di una bimba appena uscita dal grembo materno e da un'onda d'urto, un'energia oscura e terribilmente potente, che tuttavia solo pochi furono in grado di percepire, ma che fece provare a ogni singolo essere sulla faccia della terra un brivido di inquietudine. Ma questo non era l'inizio.
Correva... correva... il sospetto rimbombava nella sua testa. Stringeva in mano un pettinino di tartaruga, un dono per lei che diventava grande e che in cambio gli regalava un grande sorriso, ogni volta che gli correva incontro per costringerlo a rilassare la tensione del pugno e distendere le dita artigliate, per appropriarsi di quel dono tanto sospirato. Era un piccolo gioco: lui stava lontano tanto tempo, ma quando tornava le portava sempre qualche ninnolo, che faceva finta di non volerle dare, solo per il gusto di assaporare la vista di quella bimba che si sforzava in tutti i modi di fargli aprire il pugno e lasciare la presa. In realtà il gioco aveva un significato ben più profondo per quella bambina: per lei riuscire nell'intento voleva dire che lui era davvero tornato, conquistare il dono era una prova che aveva conquistato i suoi pensieri, e tenerlo con sé tutti i giorni le dava la spinta per convincersi che sarebbe comunque tornato, anche se fosse andato in capo al mondo.
Ma perché non riusciva a sentire il suo odore? Il suo sopracciglio si alzò impercettibilmente per lasciare l'impressione di un'espressione fra l'alterigia e il disappunto. Ecco il villaggio, era arrivato. Un'umana lo vide e spalancò gli occhi terrorizzata. Strano, perché ormai gli umani del villaggio si erano abituati alle sue visite, anche se erano abbastanza rade, e avevano preso la saggia decisione di ignorarlo o, se proprio incrociavano il suo cammino, si inchinavano rispettosi. E gli andava bene così: niente scocciature. Quella donna indietreggiò in preda al panico, si voltò e partì in una corsa a perdifiato urlando con tutta la voce che aveva:
-Venerabile Kagome! Venerabile Kagome!-
Che strani gli esseri umani... Però il suo odore mancava, non c'era, non c'era. Dove diavolo era la bambina? Invece un altro odore si faceva intenso, in avvicinamento: era la donna di suo fratellastro.
-Buonasera Sesshomaru.-
Il suo viso portava impressa un'espressione di preoccupazione, imbarazzo, tristezza. Non lo aveva chiamato fratellino, come faceva ogni volta che lui tornava, cosa che solitamente gli faceva tendere tutti i nervi.
-Dov'è Rin?-
Le chiese senza tante cerimonie. Le lacrime riempirono gli occhi della giovane.
-Ecco...-
-Non sento il suo odore.-
-Già... Infatti non è più possibile sentirlo.-
-Cosa mi vuoi dire?-
Si stava innervosendo, quella titubanza puzzava di bruciato, voleva sapere tutto.
-C'è stata un'epidemia di tifo in questa zona. Io... non posso più tornare nel mio mondo, il pozzo non funziona più... non ho potuto prendere le medicine giuste... mi dispiace: Rin è morta.-
Quelle parole gli trapanarono le orecchie, rimbalzando da una parete all'altra della scatola cranica, percorrendo tutte le sinapsi e invadendo ogni singolo neurone, per poi depositarsi, con tutta la loro pesantezza e durezza, nel suo petto. Sbarrò gli occhi, il fiato che mancava. All'istante si sentì come prosciugato di qualsiasi pensiero, di qualsiasi sensazione. Lo stomaco si chiuse impedendogli anche di ingoiare la saliva. La giovane continuava a guardarlo, mentre una lacrima silenziosa, una lacrima stanca che si limita a seguire il percorso che molte altre avevano già solcato, le scorreva sulla guancia. Non poteva prendersela con lei: lei l'aveva curata, ma non aveva i rimedi giusti. Sarebbe stato inutile mettere a ferro e fuoco il villaggio che non ne aveva colpa. Nessuna vendetta, perché non c'era niente da vendicare: Rin era morta di malattia. Nessun rimedio ormai per quel male: era la terza volta che Rin incontrava la morte.
-Ti porto alla tomba?-
L'avevano seppellita... Si certo, loro erano umani... e in ogni caso volevano bene a Rin. Meno male che qualcuno ci aveva pensato. Senza parlare seguì a passo lento la ragazza che singhiozzava dandogli le spalle. Lacrime... Rin non piangeva mai, lui non piangeva mai. In questo erano uguali. Ma lei non piangeva perché era forte, lui non piangeva perché era troppo temprato dall'orgoglio per farlo: i demoni non piangono. Non aveva mai pianto, nemmeno da bambino. Vide la pietra con sopra l'iscrizione “Rin Inuyoukai. Non dimenticheremo mai il tuo sorriso”. Inuyoukai?
-Perché porta il mio nome di famiglia?-
-Perché fa parte della tua famiglia.-
In effetti era vero... Non era opportuno che un essere umano portasse il nome di una grande e nobile famiglia come la sua, ma d'altra parte la sua nobile famiglia era già macchiata indelebilmente da un bastardo. Si... poteva lasciare che Rin portasse il suo cognome, lei lo avrebbe meritato una volta adulta. Era solo una bambina...
-Parlami degli ultimi istanti.-
-E' morta in fretta, la terza notte. Però non ti nascondo che ha sofferto, il tifo fa soffrire. Però...-
-Però cosa?-
-Poco prima che la sua anima volasse via mi ha detto con un filo di voce: di al Signor Sesshomaru che questa volta sarò io a tornare. Ma non capisco, era già praticamente incosciente.-
Aveva pensato a lui in quel momento. La sua Rin... E lui non c'era, non era con lei... Eppure... Era stata lei a vegliarlo quando aveva perso conoscenza sotto i colpi di Tessaiga, era stata lei bagnargli il viso per togliere il sangue incrostato. E lui non c'era stato invece... La ragazza umana si allontanava lentamente, per lasciarlo solo, solo con lei. Meglio... E pensare che sotto la terra davanti a quella pietra stavano le ceneri di quella bambina che gli aveva alleviato l'animo con la sua risata cristallina, che lo accoglieva gioiosa, che aveva occhi solo per lui. Quella bambina che pareva capire sempre cosa si agitasse nel suo animo. Jaken conosceva i suoi pensieri, ma solo Rin riusciva ad avere accesso al suo animo più intimo. Quanto era preziosa quella bambina... Era l'unica persona che avesse quel tanto di scintilla di follia per considerarlo buono. Lui sapeva di non esserlo, e non avrebbe nemmeno voluto, ma ai suoi occhi lo era. Quella bambina era così preziosa che lui si era costretto a lasciarla fra gli umani, lontana dai pericoli delle sue battaglie, perché potesse crescere con cibi cotti e minestre calde di cui gli esseri umani hanno tanto bisogno, perché potesse imparare un lavoro, uno dei lavori più mistici, che solo una donna può imparare, infatti Rin imparava a essere una brava levatrice. E infine... avrebbe potuto scegliere, una volta adulta, se viaggiare con lui, o rimanere ad aspettarlo al villaggio, fra i suoi simili. Ma quella scelta, lui gliela leggeva nello sguardo ogni volta che lo incrociava: lo avrebbe seguito ovunque. E invece no... Più fissava la lapide più la consapevolezza che lei non lo avrebbe più potuto seguire, né aspettare, si faceva salda e dilaniante. Il sole tramontava di fronte ai suoi occhi, incandescente come la lava, rosso come il sangue. Si sedette a gambe incrociate di fronte alla tomba, piantò Tenseiga nel terreno creando una barriera protettiva poiché non aveva intenzione di essere disturbato, e per tutta la notte lasciò libero il suo animo di struggersi e di consumare le sue forze.
Al mattino non c'era più, solo il pettinino, il suo ultimo dono per la sua bambina, stava posato sul cumulo di terra.
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leftmad - Voto:
Spero aggiornerai presto! *_*
himeno - Voto:
ti prego continuaaaa!!!
Ps: complimenti scrivi davvero bene :)
Ps: complimenti scrivi davvero bene :)
...continua nelle pagine numero:
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