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MANGA.IT FANFIC
Categoria: Originali (inventate)
Titolo Fanfic: L'ALBA E LA SEDUZIONE.
Genere: Sentimentale, Avventura, Erotico
Rating: Vietato Minori 18 anni
Avviso: Lemon
Autore: ladyknight galleria  scrivi - profilo
Pubblicata: 16/03/2011 22:01:05

La storia di una sacerdotessa che deve imparare a trovare, nel sesso, la traccia bruciante degli dei
 
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- Capitolo 1° -

I personaggi sono tutti frutto della mia immaginazione e sono maggiorenni.
Più o meno.



Prefazione
Guardo verso l’alto, cerco di vedere se dalla piccola finestra della mia cella, questo luogo oscuro e sporco, si possa vedere la luce argentina della luna, la luce della mia signora.
Mi concentro per parecchio tempo cercando di concentrare le mie forze nelle gambe, ma la mie mente divaga, non riesco a rimanere lucida.
Mi devono aver drogato, lo fanno due volte al giorno, hanno paura che possa scappare o che possa uccidermi. Non hanno torto, potendo, proverei a fare entrambe.
Forse non potrei scappare, ma uccidermi è tutta un’altra faccenda.
Comincio a canticchiare, una canzoncina che una volta suonava allegra, adesso è il segno tangibile della mia follia malsana, una follia che mi ottenebra la mente, che tiene in scacco il mio povero corpo, sul quale sono perfettamente visibili i segni della violenza e della privazione.
“Sono nata per patire tutto ciò?” si domanda la mia mente ottenebrata.
Nella mia religione non c’è predestinazione, solo probabilità, solo scelte.
“Ho fatto le scelte sbagliate?” un’altra domanda sciocca.
Il mio corpo si muove convulso, mi esce un rantolo, la bocca secca sputa sangue. Mi giro e mi trovo bocconi sul pavimento lordo.
Storco con malagrazia la bocca, in un ghigno sicuramente sgradevole alla vista.
Questo luogo, questa prigione di ferro e acciaio in cui sono rinchiusa, questo luogo deprimente, osceno, squallido. Tutto in esso va contro la mia morale, è un luogo ai miei occhi eretico, non segue la volontà degli dei.
Ma in questo paese ci sono altri dei con altre volontà, questo va anche rispettato.
I pensieri si affollano sconnessi, intercalati in una mente totalmente distrutta, la canzoncina diventa un mantra da recitare continuamente.
Questo era un esercizio che ci insegnavano al Tempio della mia Bella Signora, ripetere qualcosa continuamente rende più vigili. Ma che ne sapevano lì della tortura? Della crudeltà?
La mia terra natale è un luogo talmente ospitale, gentile.
Una lacrima solitaria scende sul mio viso, l’unica cosa pulita di quel luogo probabilmente, ma presto si mischia al mio sudore. Non c’è freddo, il deserto di Kadmo ricoperto di sabbia finissima, la sabbia che secondo le leggende Enedrial degli Ornays mise dentro una clessidra d’oro che da quel momento scandì imperiosa il tempo, è un luogo di refrigerio, la temperatura non varia mai. Una tiepida frescura eterna.
Questo luogo sarà la mia tomba, dove il tempo è cominciato, io finirò il mio.
Chi ha deciso che io, dopo questa estate, non veda più autunni?
La mia mente corre veloce da un pensiero all’altro, troppo veloce, mi spiazza.
Il volto di Claudio, si proprio lui, i capelli biondi incrostati di sangue, il volto esangue impolverato e duramente segnato, la mano destra il cui dito indice si muoveva come a premere qualcosa.
“Vorrei morire sotto il sensuale peso del corpo di una sacerdotessa del dio Risi, vorrei morire tra l’amore e le risate. Mara almeno tu, muori così ti prego.”
No, Claudio. Gente come noi non merita la pietà degli dei, forse la nostra morte dev’essere un monito per la nostra gente. Più cruda sarà, più il messaggio echeggerà fra le mura dei palazzi imperiali, tra le case nobiliari, i templi sacri e le bolge.
La mie mente cambia ancora pensieri.
Tocca alla rabbia, chi ha tradito? Chi tradirà? Chi mi ha uccisa?
Cambia ancora.
Shemar, dov’è Shemar?
Ancora.
La festa del primo luglio, la statua dell’Amplesso Sacro. Gli dei primordiali uniti nell’abbraccio dell’amore più dolce che possa esistere.
La statua della dea, grande e imponente, seducente, fatta per maschili sguardi sprezzanti.
La statua del dio, grande e dolce, intima, fatta per le più ardite femminili speranze.
Le loro figure però non sono qui, no, vero?
-No.- la voce è forte e chiara, inconfondibile il significato della sillaba appena pronunciata.
Sono rimasta stesa per terra, il corpo stanco, il braccio ripiegato sotto di me, un rivolo di saliva mi scende dall’angolo della bocca, gli occhi chiusi, sbarrati. Una visione che posso solo immaginare nella sua sgradevolezza.
Apro con impeto gli occhi, sconquassata dalla voce che sento.
Nella mia cella una figura riempie di luce l’ambiente, ha capelli biondi lunghi fino alle spalle e gli occhi sono ghiacciai, bello come nessun mortale può essere.
-No.- ripete scandendo con le labbra questa breve sillaba.
Io rimango intontita e intenerita a guardarlo.
La figura cambia, i lineamenti marcati cedono il passo a forme più dolci, gli arti slanciati si incurvano in morbide onde. I capelli color grano diventano ricci cremisi, gli occhi diventano grandi e dai ghiacciai si vede la terra.
La mia Signora.
La dea davanti a me, o sono io, siamo simili eppure diversissime.
La fede si anima in me, devo raggiungere la mia Signora, la mia bellissima Signora, arranco in avanti la devo raggiungere la devo toccare. Nelle mie orecchie ancora quanto detto dal dio. No.
-No.- dice ancora lei. –Non hai fatto scelte sbagliate.- aggiunge nuovamente con la voce così dolce, così comprensiva.
È venuta per me, in questo luogo che la rifiuta, piena di gente che non crede in lei. E anche il dio.
Devo toccarla! Carponi provo a farmi più avanti , guadagno terreno con fatica.
La mia mente vortica, c’è solo lei.
Sto per toccarla quando un rombo squassa tutto, la cella trema, alzo gli occhi…la mia Signora è sparita.
Grido, grido talmente forte che tutto viene colpito da un fischio acuto.
-Zitta puttana!- mi insulta una voce orrida, orrida come il suo proprietario.
È grosso, trasuda grasso da tutti i pori, è sudato. Non so se è un uomo o una bestia.
Si avvicina abbastanza rapidamente, faccio il gesto di allontanarmi, allora lui mi prende un piede imprecando e comincia a trascinarmi.
La faccia mi fa male si graffia con lo schifo che c’è per terra, presto potrebbe diventare una maschera d’orrore, ma che importa.
Non avevo mai visto lo spettacolo degli altri detenuti, la mia cella è d’isolamento, grande e vuota, molto buia tranne per una piccola finestra in alto. Non ho mai visto nessun’altro chiaramente.
Quando la mia faccia non è troppo schiacciata contro il pavimento riesco a vedere gli altri, voglio vedere altri.
Così non piangerò per la mancanza della mia dea. Oh, era così vicina!
Sono tutti maschi, manco una donna in mezzo a loro, meglio così.
Sembrano sciacalli, troppo magri per sembrare vivi davvero, troppo disgustosi per essere fantasmi, troppo deboli per essere demoni.
Vestono di stracci strappati in ogni dove, qualcuno ha pure parti intime esposte, ma non ci fa caso, appena passiamo urlano, si avvicinano alle sbarre.
Sono troppi per una cella quindi sembrano una calca spaventosa e impazzita. La follia fa parte di questo luogo tanto evidente come le mura che lo compongono.
Un uomo al nostro passaggio si mette la mano nei calzoni e facendo ridere altri finge di trastullarsi, chiudo gli occhi e mi rifiuto di vedere se il suo rimane uno scherzo sbruffone o attuerà l’atto.
Come può ridurre il piacere a una cosa tanto squallida? Che eresia!! Dei perdonatelo, lui non capisce, non può.
Una rabbia cieca mi entra dentro, sono solo animali!
La gente di questo luogo non è umana non può esserlo, comincio a scalciare ma sono troppo debole, bastano due colpi dell’uomo viscido per farmi fermare.
Prima, quando andava tutto bene, il solo pensiero che un essere del genere sfiorasse il mio viso mi avrebbe quasi uccisa.
Le cose cambiano, vedo meglio, probabilmente gli effetti molesti della droga stanno svanendo.
I dogmi del mio popolo sono sempre sembrati incomprensibili agli stranieri, non riescono a capire il significato dei nostri gesti, e la nostra purezza in tutto ciò che facciamo.
Esseri così luridi come possono comprendere la purezza?
Chi ci sta tradendo consegnerà tutti a questi subumani che ci vogliono solo insozzare.
Il mio pensiero si rivolge per primo a Shemar, gli avevo promesso pace e lo sto conducendo nella rovina con me. Poi penso al profilo dell’imperatore, bello e intoccabile, penso agli occhi liquidi dell’imperatrice, mutati dal terrore. Infine penso a tutti i sacerdoti dei templi della mia amata terra, nati per dare amore, nati per aprire i cuori e i corpi mortali alla fede. Mi immagino i loro corpi deturpati dal colore della morte e dal sangue, dal ferro dei coltelli. Se avessi lacrime da spargere, sarebbero per loro.
Così inadatti alla guerra, che cercano di vivere come gli dei ci hanno detto di fare, seguono il nostro massimo dogma “vivi felice, muori libero”.
Ma tralascio qualcuno. Il braccio armato dell’Impero Misterico, guerrieri forti e letali, si perfetti per uccidere e per difendere. Ma erano così pochi, così pochi.
Claudio è morto per questo. Erano più forti degli avversari, ma in svantaggio numerico. Un grande svantaggio numerico.
Ma la nostra morale è così opposta alla guerra, non potevamo di certo tralasciare altre importanti mansioni per mantenere una nutrita fila armata. Eppure non credevo neanche che avessimo del tutto ragione.
Se no a quest’ora tutti questi problemi sarebbero solo un incubo molesto.
L’uomo disgustoso continua a trascinarmi imperterrito, la faccia continua a farmi male, così anche la caviglia e il resto del mio corpo che in questa posizione non può non risentirne, tutto si riduce improvvisamente a quello.
La mia mente è più sveglia, adesso ricordo i ben 30 punti di pressione che si possono usare su un corpo maschile per metterlo fuori gioco, li vedo tutti da quella posizione scomoda, ma so che le mie condizioni fisiche non mi permetteranno mai di fare i giusti movimenti. Rischierei solo di morire.
Ora che penso però, adesso che intenzioni hanno con me?
Passano dieci minuti che mi sembrano interminabili, una scia di sangue che la mia testa lascia al suo passaggio marcando il suolo sarebbe una splendida traccia per chiunque volesse salvarmi, solo che al momento non mi viene in mente nessuno.
Perdo conoscenza, lentamente, gli occhi bruciano e lacrime, finalmente delle lacrime, rigano il mio viso distorto, le immagini si appannano. Non vedo più i terribili prigionieri di questo orribile carcere, non vedo più l’uomo disgustoso. Quando chiudo i miei occhi stanchi, come se stessi per morire, rivedo la mia vita.
Una trasmissione a colori, coi profumi e le sensazioni di allora.
Che il dio Kish e la mia Bella Signora mi assistano.

Capitolo 1
Era tardi. Il cielo era azzurro, plumbeo, il solo splendeva grande e potente e ci illuminava benevolo, le strade erano pulite e a quell’ora c’era ancora poca gente che girava.
C’erano tre donne dagli occhi a mandorla vestite con dei magnifici kimono, uno di questi era davvero grazioso, lo sfondo era rosso veneziano con curiosi e delicati fiori di ciliegio rosa pallido, era bella la donna che lo indossava, con quell’acconciatura intricata e quel tocco carminio sulle labbra.
Le nobildonne illuminate hanno una grazia dei movimenti assolutamente affascinante, sanno incantare lo sguardo e suscitare una sorta di bambinesca meraviglia, quando le si guarda sembra di osservare un fiore di ciliegio che si lascia trasportare dal vento.
Le tre parlavano con una donna e un uomo, la donna indossava un abito dall’ampia gonna, aveva un neo accanto alla bocca e la lunga parrucca bianca cadeva in vaporosi boccoli. Lo stesso valeva per il suo uomo dal lungo panciotto, dai riccioli bianchi e dai baffetti dello stesso colore. Solo il colore delle sopracciglia suggerivano che la donna era bruna e l’uomo biondo.
A Kushian vedere simili gruppi eterogenei non è una novità.
Imprecando per la poca praticità dei miei vestiti mi avvicinai a quel gruppo.
-Salva illuminate.- dissi allora giungendo le mani e abbassando la testa in un inchino, poi mi rivolsi alla coppia facendo un’elegante riverenza. –Buongiorno miei Signori.-
Sia le illuminate che la coppia mi guardarono.
Prima si salutano i gruppi etnici più numerosi poi quelli meno. Ogni gruppo etnico va salutato in un certo modo, è una forma di ritualismo inutile, ma necessario per le norme del buon costume.
I due gruppi si voltarono a guardarmi, mi fecero un sorriso, poi, onorando il mio lignaggio si misero una mano sul cuore.
-Ave signorina.- dissero prima le illuminate e dopo la coppia.
Ora che queste ritualità erano concluse potevo parlare liberamente.
-Scusate il disturbo, sapreste indicarmi il tempio del dio Kish?- domandai certa che lo sapessero.
Tutti sapevano una cosa del genere in città, tranne me.
La donna con la parrucca bianca rise di gusto.
-Ragazzina non dovresti conoscere già la sua ubicazione?- mi domandò tranquillamente.
Non potei non arrossire, la signora non poteva sapere che io…che io…
-Perdonate non ho alcun senso dell’orientamento.-mentii abbassando gli occhi imbarazzata.
Per fortuna la donna dal kimono rosso posò i suoi splendidi occhi a mandorla su di me e fu benevola.
-Devi percorrere il Gran Canal quando vedi un grande tempio con la cupola in oro l’avrai trovato.- spiegò calma.
-Grazie illuminata. Scusate tanto.- ringraziai diligente.
Misi la mano sul cuore, le illuminate giunsero le mani e fecero un breve inchino mentre la coppia fece la riverenza.
Quando ci si lascia ognuno fa il proprio saluto, così è la regola.
Forse mostrandomi maleducata cominciai a correre, dovetti afferrare il bordo del mio lungo abito e tirarlo in su per non rischiare di inciampare e cadere.
Non avevo l’abbigliamento adatto alla corsa, solitamente le ragazzine dell’alta nobiltà non corrono per la strada, ci sono abbigliamenti adatti a tale attività, ma ancora ero giovane e non avevo mai mostrato una grande attitudine all’attività fisica.
Avevo paura che il tempio fosse molto, troppo lontano. Già avevo il fiatone e non ero abituata a quel genere di sforzo, la carrozza avrebbe reso il viaggio comodo e semplice, ma se lo avessi detto alla mamma, che volevo andare lì, me l’avrebbe certamente vietato, mia sorella maggiore avrebbe fatto la spia sicuramente, solo perché è l’erede ufficiale della famiglia si sente già responsabile anche per me.
Se Svetlana non se ne fosse andata a quest’ora saremmo andate assieme, lei mi avrebbe responsabilmente accompagnata senza dire nulla a mia madre.
Ma Svetlana se n’era andata, per qualche motivo era andata nei bassifondi della città senza scorta, e lì per qualche ragione, forse per volontà del dio di qualcuno, era stata violentata e successivamente uccisa con un nastro di velluto rosa. Il suo colore.
Dicevano che fosse stato un atto di rimorso che aveva spinto l’assassino a truccarla e a sistemarla come se nulla fosse successo lasciandola sul portone della nostra abitazione.
Io in tutto ciò non avevo mai visto rimorso, ma ero un’adolescente ed ero furiosa, furiosa che qualcuno avesse ucciso l’unica persona che mi capiva e ascoltava davvero.
Ricacciai le lacrime, pensando che tali pensieri erano inutili e che non era quello il momento, in quell’istante il mio pensiero doveva avere per protagonista un’altra persona. Stefan.
Era la sua ora.
Per dieci minuti buoni proseguì in avanti, sentendo l’umido del sudore che mi si concentrava nella nuca e nella fronte, mi guardavo intorno alla ricerca di un edificio con la cupola dorata.
Quando mi avvicinai ad esso non potei non vederlo, si stagliava immenso col quell’impressionante cupola. Velocizzai la corsa, fuori c’era delle gente.
Superai quelle persone e ed entrai nel tempio, per la precisione, cosa che purtroppo fa parte di me, il tempio aveva una specie di prima entrata, un vestibolo quasi, dove la gente lasciava gli indumenti più pesanti, all’interno del tempio non bisognava essere troppo coperti dai vestiti, in esso dovetti lasciare il mio soprabito blu, rimanendo con una semplice sottoveste di velluto dorata senza spalline e lunga fino a terra. Poi c’era un ampio giardino interno pieno di statue del dio e fontane. Tutto il tempio era in alabastro decorato con intarsi d’oro e fiori di gelsomino, il giardino era pieno di gelsomino.
Mi colpì un uomo col cappello a cilindro che fumava una lunga pipa, poteva avere sui trenta o forse quarant’anni, gli occhi verdi osservavano una meridiana che c’era proprio in mezzo al giardino.
Mi diressi verso di lui, accennai un lieve inchino, non una riverenza. Lui rispose subito con una mano sul petto.
-Perdonate, è già iniziata l’asta?- chiesi accalorata dalla tanta corsa, per colpa di essa il mio viso appariva accaldato.
L’uomo sorrise di rossa malizia.
-Non preoccupatevi mia signora, ancora mia moglie non mi ha chiamato quindi devo presumere che nulla sia ancora cominciato.- parlava come se stesse cantilenando, mi faceva simpatia ed era bello.
Perfetto per la nostra terra.
Mi misi una mano sul cuore, per entrare dovevo passare attraverso degli archi a sesto acuto, i bordi erano tutti arabescati, modellati con oro lucente.
Era magnifico.
La sala principale aveva sul suo perimetro numerosi vasi ricolmi di fiori di gelsomino e c’erano anche numerosissimi piatti in metallo, al centro torreggiava una statua del dio Kish, aveva le braccia allargate in segno di benvenuto. Il gesto d’amore più forte e conosciuto della nostra cultura.
Un palco ai suoi piedi, spoglio e ricoperto solo di un telo dorato.
All’ingresso centrale c’erano altre due statue che raffiguravano due adepti che facevano una lunga genuflessione, per vedere qualcosa dovetti arrampicarmi su uno di essi, per quella giornata il mio sforzo fisico stava superando il limite.
Appena trovai una posizione comoda, mi accoccolai ancora di più contro la statua e stetti a vedere.
C’era da vedere, sembrava di vedere un cielo con milioni di stelle, tante erano le donne e gli uomini che affollavano la sala. Principalmente erano donne, com’era da immaginarselo, ma c’erano anche numerosi mariti che avevano l’aria annoiata e si guardavano l’uno con l’altro come rassegnati.
Sentì numerosi frammenti di discorsi che mi fecero ridere:
“Ho paura che mia moglie mi sfondi il portafoglio.” “Bè mia moglie per farsi sfondare da quello venderebbe nostro figlio, almeno se è come dicono.”
“Dicono che sembri che il dio Kish si sia incarnato.”
“Perfetto.”
“Sono venuto solo per controllare.”
“Alina, per favore sii ragionevole, non spendere troppo.”
Dovetti chiudermi le labbra con forza per non sbottare in una divertita risata.
Il nuovo acquisto del tempio di Kish stava già, prima del servizio, facendo parlare di sé, la cosa mi avrebbe fatto fare un sorriso sarcastico solitamente. Solo che in questo caso conoscevo questo nuovo acquisto.
Era mio cugino.
Mentre guardavo la gente qualcuno era entrato in sala, mi accorsi di lui solo quando salì con un balzo sul palco. Non avrei potuto non notarlo.
Aveva i capelli neri, lucidi come penne di corvo, gli occhi erano piccoli e sfuggenti , il naso piccolo allungato, molto dritto. La pelle era bianca, il corpo ben delineato, ma il suo sorriso era il dettaglio principale, gli illuminava il volto e gli dava un’aria felice.
Allargò le braccia in segno di benvenuto, il segno di Kish.
-Benvenuti, questo è un momento speciale per uno di noi, il suo primo incarico.
Il dio Kish apparirà in spirito da lui durante l’amplesso quindi la sua presenza sarà più forte per la compagna, è per questo che siete qui. Sappiate che l’ho istruito io stesso.- cominciò a dire l’uomo.
Capì subito che il fatto che l’avesse addestrato lui dovesse avere una qualche rilevanza, lo capì dal mormorio crescente fra le donne. Sembravano molto eccitate dalla cosa.
Immaginai che fosse uno dei favoriti del tempio, magari il sacerdote più importante, il Gran Sacerdote, uno arriva a questa carica in due modi:
In base alle sua capacità di tramite col dio, quindi le sue attitudini a far raggiungere alle fedeli uno stadio di estasi e il loro successivo discuterne e quindi l’espandersi della voce o l’aver soddisfatto una particolare fedele, meglio se della Real Casa degli Adrienne.
Supposi che in quella occasione doveva essere il primo caso, sembrava conosciuto dalle femmine presenti, molto.
-Allora mie signore e anche voi.- disse poi indicando gli uomini. – signori, vi presento il fiore più bello e raro che si sia mai presentato, è stato finemente addestrato, da me, ed è come se fosse davvero il prescelto del dio. Ha i suoi tratti e la sua voce, signore io ve lo garantisco, lui vi darà tutto ciò volete.- assunse un tono più basso sensuale, virile. –Estasi, piacere, contatto sacro.-
Aveva cotto a puntino la platea, aveva incantato le donne che ora trepidavano dalla voglia di quel misterioso ragazzo. Ero furiosa, io sapevo di chi stava parlando, e anche se ero convinta che fosse la cosa giusta, non riuscivo ad accettarla. Tante cose non accettavo.
Intanto lui entrò nella sala, indossava un lungo mantello con cappuccio nero in questo modo non si poteva vedere nulla di lui, un effetto scenico per far aumentare l’emozione e far salire i prezzi.
Sapevo per certo che era lui per via del suo modo di camminare, svelto ma ben cadenzato, anche se c’era qualcosa di nuovo, adesso i movimenti sembravano più controllati più armoniosi.
Del resto erano ben tre anni che ci parlavamo solo attraverso un pesante pannello rigido traforato, lo andavo a trovare una volta alla settimana, non avevamo la possibilità di vederci chiaramente.
La forma è così importante, e a me era stato negato il suo viso allungo, non potevo negare che desideravo vedere nuovamente il suo volto più di quasi tutto al mondo.
Fu il sacerdote bruno a slacciare il nodo sotto il mento del cappuccio e con una sola mano glielo sfilò di dosso.
Potei sentire il peso degli occhi di quelle donne, il mio sguardo fra di esse era solo un messaggio in una bottiglia in mezzo a tante altre. Ci fu qualche mormorio concitato e alcune si guardavano l’una con l’altra eccitate, gli uomini alzavano gli occhi al cielo.
Al tempo avrei affermato con sicurezza che non provavo nè gelosia né attrazione verso Stefan, ma sarebbe stata una bugia.
Allora Stefan non aveva i capelli molto lunghi, gli arrivavano appena sulle spalle, due ciuffi più corti gli incorniciavano il viso ben proporzionato, i capelli erano oro vivo, molto sottili. Gli occhi invece erano color pervinca, un colore troppo scuro per essere azzurro e troppo chiaro per essere blu. I lineamenti del viso erano ben proporzionati fra di loro, la bocca era piccola con labbra mediamente carnose, ma esse erano scarlatte.
Era diventato alto, e le sue membra non erano più esili e lunghe, la sua mascolinità era stata ben limata.
Indossava dei pantaloni che arrivavano fino ai polpacci beige e un gilet di un tessuto velato azzurro tenuto aperto sul petto, il quale era perfettamente liscio e sprovvisto di peli, come la moda del mio paese reclamava, mi soffermai sulla linea dei pettorali. Poi distolsi lo sguardo incredula che quello fosse mio cugino. Lui era sempre stata bello, ma adesso era terribilmente attraente.
Anche il suo atteggiamento era diverso, prima tendeva a sfuggire gli sguardi indagatori delle persone, adesso li incoraggiava allargando le braccia, aveva fatto un giro su se stesso incoraggiando le donne presenti a divorarlo con gli occhi.
Usava lo sguardo e il sorriso malizioso per tentarle ed esse, com’era logico, cedevano assolutamente rapite dal sue incantesimo. Se quello non bastava il corpo sopperiva a tutto.

Dov’era finito il mio compagno di giochi? Adesso davanti avevo solo un’incredibile esemplare di sacerdote, non me l’aspettavo.
Mi diedi della stupida, lui era cresciuto aveva accettato il suo destino e si comportava di conseguenza, io ero la stupida a rincorrere qualcosa di superato. Tutti i miei affetti sembrava che mi avessero superata. Stefan, Svetlana.
Avevo gli occhi bassi e avrei continuato a pensare ai fatti miei, se il sacerdote bruno non avesse parlato. Su quel palco c’era un potenziale erotico che era meglio evitare per me, anche se in realtà sospettavo che l’avrei dovuto affrontare prima o dopo. Meglio se prima, per la salute mentale di mio padre.
-Bene signore, questo è ciò che il tempio del dio Kish vi offre. Adesso tocca a voi. L’offerta parte da 1000 deanari 500 samsteri.-
Mi sarei immaginata che davanti a una cifra simile scendesse il silenzio in sala, sbagliavo, avevo sottovalutato quanto mio cugino fosse seducente, a quanto pare la tacita promessa che gli si leggeva negli occhi aveva stuzzicato le donne meglio fornite di soldi della città. Buon per lui.
Il sacerdote bruno mostrò un’incredibile abilità negli affari, condusse l’asta con arguzia e alla fine mise due donne l’una contro l’altra.
Una di esse aveva una grande fortuna, il marito non era presente, si aggiudicò l’asta.
La signora Marianna dei Gonzaga, una delle nobili più famose per la sua incrollabile fede e per la sua inestimabilissima collezione di quadri di artisti pisoyani, si comprò la verginità di mio cugino Stefan per 21000 deanari e 100 samsteri.
Una cifra che non avevo mai sentito, e che non avrei sentito mai neanche in seguito.


LadyKnight
 
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VOTO: (1 voto, 2 commenti)
 
COMMENTI:
Trovati 2 commenti
clockworkorange9 25/08/12 01:09
È bellissima!! Continuala ke voglio sapere ke succede!!! :)
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kokoo - Voto: 17/03/11 20:17
Karina ^.^
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