Un missing moments tra Kakashi e Itachi nella squadra ANBU
Conclusa: Sì
Fanfiction pubblicata il 02/10/2024 20:26:32
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Kakashi non può più permettersi il lusso di assimilare niente. Il sorriso degli amici, fermarsi un istante a ideare il futuro; ponderare qualunque quotidiana quisquilia reputata consueta dal resto del mondo, potrebbe aprire una breccia insanabile in quell’equilibrio costatogli tanta fatica. Un varco comodo per le innumerevoli potenziali ferite che andrebbero a slabbrargli quelle ancora sanguinanti.
Non può perdere l’essenziale conquista di essere riuscito a relegare l’ostinata immagine di quelle pupille ormai vuote a pochi minuti al giorno. Ormai non avverte che per miseri istanti il sinistro scricchiolio del torace di Rin, il calore viscido della sua carne lacerata che gli ingloba la mano giunge a fargli visita solo nel dormiveglia.
Quell’occhio, invece, rievoca incessante innumerevoli colpe. Persiste ogni istante della sua vita, sembra inveire contro l’indegno proprietario. Brucia, gli ustiona il cervello anche quando non è attivo. Kakashi ci prova, si crea situazioni per onorarlo ogni giorno. Le sconfitte non appartengono più solo a lui, ogni fallimento ha insito anche il gusto amaro del rimorso.
Negli ANBU eccellere è semplice. Kakashi deve ammettere che è l’unico dotato di determinati poteri, il ruolo di capitano della squadra gli offre lo spazio di manovra necessario per autocomminarsi missioni dall’esito negativo pressoché nullo. La posizione più favorevole per sfamare quell’occhio prima che arrivi a prosciugarlo nutrendosi dei suoi rimorsi.
Vigliaccheria, egoismo. Forse. Ma anestetizzarsi quando non si è più in grado di reggere ulteriori sollecitazioni emotive diventa normale amministrazione.
Kakashi compie ogni sera le medesime azioni, si crogiola nella fallace armonia, tutt’altro che sana, fatta di schematici rituali. La divisa riposta con cura nello spoglio armadietto, il suo è l’unico a non essere stato personalizzato con fotografie della famiglia, una chiave colorata, neanche un’asettica targhetta col nome. Kakashi fa in modo che la sua stessa esistenza si eclissi appena lascia la sede. Ogni giorno resta fino a tardi, temporeggia dedicandosi alla manutenzione delle armi finché non sono usciti tutti, poi si infila sotto la doccia con la vana speranza di scrostarsi il sudicio del passato.
Tornare a casa usufruendo delle strade deserte della notte è l’unico fine a cui punti davvero, cambiare marciapiede o ignorare chi vorrebbe salutarlo non è sempre possibile.
“Capitano.”
Malgrado la convinzione che lo spogliatoio fosse ormai deserto, Kakashi è talmente intorpidito che l’inaspettata voce alle sue spalle a quell’ora gli smuove appena le emozioni ormai arrugginite. Assorbe a malapena il tono grave.
“Dimmi, Tenzo.”
“È arrivata una matricola.”
Le mani di Kakashi si congelano a mezz’aria, poi compiono un’automatica marcia indietro per ripescare la divisa appena messa da parte e risistemarla a pennello sul corpo. Si volta, lo sguardo cupo del tredicenne che ha davanti è più inquietante della penombra che avvolge l’ambiente. Kakashi non ricorda aver mai visto Tenzo sprovvisto dell’elmetto.
“Sicuro che non sia successo qualcosa di grave? È quasi mezzanotte.”
“No, doveva solo concludere una riunione.”
“E chi è questo ragazzo così impegnato?” il bavaglio di Kakashi si modella sul sorriso sottostante, ma l’espressione non coinvolge gli occhi stanchi e distaccati.
“Itachi Uchiha.”
Kakashi tiene per sé il brivido gelido. Un Uchiha, il primo che faccia ingresso negli ANBU. Dal momento che l’attacco dell’Enneacoda è stato, con tutta probabilità, una loro macchinazione, meglio non abbassare la guardia. Potrebbe trattarsi di un doppiogiochista.
“Vai pure a casa, Tenzo. Penso io a lui.” I turbamenti di Kakashi non traspaiono mai. Non perché egli si sforzi, è piuttosto il risultato della menomazione che applica alle proprie emozioni per difendersi dal sovraccarico. Kakashi è stufo di sentire.
“Capitano…” Tenzo trova il coraggio di parlare appena in tempo prima che sia troppo tardi. L’inconsueta insicurezza della sua voce ha il potere d’inchiodare Kakashi sulla soglia “Itachi. Mi preoccupa.”
“In che senso?” Kakashi si volta e basta, evita di avvicinarsi al subalterno, sembra gli faccia impressione.
Tenzo abbassa lo sguardo, intreccia le mani per mimetizzarne il probabile tremolio: “Non è come gli altri. Noi ANBU siamo una quadra di assassini, è vero. Ma Itachi… il suo sguardo. È fisso, vuoto, distaccato. E ha la mia età.” Tenzo deglutisce a fatica, torna a guardare il suo superiore: “Ipotizzo che Itachi possa diventare troppo pericoloso ricevendo l’addestramento, non solo in missione. Un paio di anni fa, insieme a un suo amico, ha trucidato senza pietà una decina di spie di Kirigakure. Possiede lo sharingan da quando aveva otto anni.”
“Lo so, ero presente anche io il giorno in cui Itachi ha ottenuto il potere. Un uomo mascherato gli ha massacrato il compagno di squadra davanti agli occhi, sono stato io a salvarlo.” Kakashi si appropinqua verso il ragazzo fino a posargli una mano sulla spalla. Il tizio misterioso si spacciava per Madara, ma questa informazione può attendere un momento più consono “Tenzo, scorderai il tuo passato, promesso. So che non si può dimenticare da un giorno all'altro, ma è necessario che tu lo faccia per ricominciare. ”
Tenzo annuisce, poi sente il dovere di scomparire nel corridoio che spilla oscurità. Kakashi si concede un lungo sospiro prima di adempiere al suo compito con Itachi.
“Kakashi…”
Dopo i primi istanti di smarrimento, Kakashi capisce di essere nella sua casa d’infanzia, quella dov’è cresciuto con suo padre. È diversa, qualcosa stona, ma è pur sempre casa sua.
“Kakashi” la gioiosa voce di ragazza lo chiama ancora, ora sembra più vicina.
I tonfi sordi dei piedi di Kakashi si susseguono sul parquet sempre più veloci, l’ha riconosciuta.
È Rin, finalmente Kakashi la vede, lo attende in soggiorno in compagnia di suo padre. Il sole brilla alle loro spalle trapassando le ampie vetrate, un’incessante pioggia di petali cade da improbabili alberi rosa e viola.
“Ti ho perdonato, papà.” Poi l’abbraccio.
“È tutto a posto, andate pure fuori a giocare.”
La mano di Rin nella sua, lo guida verso la veranda. No, quella non è la sua vita, lui non ha mai avuto un’infanzia.
Quella è la sua faccia, le dita premute sulla cicatrice a coprire l’occhio che il buio non può fermare.
Malgrado sia novembre, l’aria della stanza è afosa e pesante, la gola gli brucia.
Le forme gli mutano intorno, mantengono una sfumatura di falso finché non diventano davvero tangibili. È a casa, la sua, diversa da quella del sogno. Quelle mura non gli sono mai appartenute, come il resto del mondo fuori di lì.
Kakashi si rigira tra le lenzuola intrise di sudore e sa di meritarlo, il male. Non avrebbe avuto il diritto di sopravvivere a suo padre e agli amici. E poi, quell'occhio. Non gli spetta, avrebbe voglia di penetrarsi il cranio con le dita e strapparselo.
Sto facendo in modo che ne sia valsa la pena?
“Itachi?” Kakashi lascia perdere l’impugnatura della sua katana leggermene sfilacciata per rivolgersi al nuovo allievo che gli siede accanto. Si sorprende a ben tollerare la presenza di Itachi. Sono in due, adesso, a indugiare fino a tardi nella manutenzione dell’equipaggiamento ben oltre l’orario di chiusura.
Itachi non è di troppo in quegli scampoli di tempo che Kakashi è sempre stato solito ritagliarsi per sé, anzi. Il comportamento dell’Uchiha conferma le impressioni di Tenzo e Kakashi vuole vederci chiaro. L’età minima per entrare negli ANBU è di tredici anni, ma Itachi sembra più giovane e Kakashi è convinto che sia così. Non si stupirebbe se Danzo avesse manipolato i registri. È la prima volta che sente nascere un sincero interesse per qualcuno dopo la perdita di Obito e Rin.
Affezionarsi potrebbe condurre a sofferenza. Fregarsene potrebbe condannare qualcun altro a patire.
Fino a ieri Kakashi non avrebbe mai considerato un simile dilemma, però Itachi è solo un ragazzo e ha già assistito a troppi orrori.
“Sì?” Itachi posa sul tavolo l'inquietante maschera da donnola che usa in missione. Alza gli occhi sul superiore. Hanno ancora la grandezza della gioventù, niente di pericoloso quando non sono celati dai sinistri fori tondi della maschera con lo sharingan pronto a colpire. Un potere assoluto che finirà per distruggerlo. Eventualità inevitabile, ma che Kakashi sente il dovere risparmiare a Itachi il più possibile. Miseri ritagli di felicità sono sempre meglio della sua completa assenza.
“Cosa avresti fatto se non fossi diventato un ninja?”
Se il quesito di Kakashi è uscito spontaneo, Itachi distoglie lo sguardo per frugarsi in testa. “Non ci ho mai pensato. Sono convinto che solo i ninja possano ottenere il potere necessario per liberare il mondo dalla guerra.”
“Capisco. Il tuo sogno è questo, dunque.” Kakashi rinfodera la katana, si appoggia allo schienale della sedia, lo sguardo concentrato su Itachi. “Però hai ancora molto da imparare. Nel frattempo sarebbe sbagliato che tu perdessi il contatto con la realtà e con te stesso.”
Itachi annuisce e lo fissa diligente. Impossibile leggere quelle pupille notturne, Kakashi è punto da una stilettata dolorosa di fronte al ragazzo che già ha reso ermetico il suo cuore a tal punto. La stordimento per non soffrire, Kakashi lo conosce bene.
“Hai degli amici?” Kakashi spera che quello ammazzato dal sedicente Madara non sia stato l’unico.
“Sì, uno” il viso di Itachi resta pallido e immoto “siamo soliti allenarci insieme.”
“Itachi, vorrei che tu capisca che rimarrai comunque l’orgoglio della tua famiglia pur concedendoti qualche scampolo di tempo libero.”
Stavolta Itachi resta inamovibile, Kakashi comprende quanto siano inusuali per lui discorsi del genere e cambia argomento: “Direi che per oggi si è fatto abbastanza tardi, ti accompagno a casa.”
“Sei un po’ deluso, vero?” Kakashi scocca una rapida occhiata in tralice al ragazzo che lo segue lungo lo spoglio corridoio di cemento. Nessuna risposta, così ne approfitta per continuare “Ogni missione è rispettabile, non solo quelle pericolose.”
“Lo so” replica conciso Itachi.
Per fortuna Itachi è alle sue spalle, così Kakashi ha modo di dissimulare il groppo di angoscia che ingolla appena finite le spiegazioni che ha condito di fasulla consuetudine.
Una settimana fa. Era una missione di ricognizione organizzata in seguito alla segnalazione di movimenti sospetti. Si supponeva lo zampino di qualche banda; ma era, appunto, solo un sospetto ancora da verificare. Il gruppo di criminali non era trascurabile, tant’è che uno di loro non aveva esitato ad avventarsi su Kakashi, Tenzo e Itachi avvalendosi di un furtivo attacco alle spalle. Kakashi avrebbe voluto catturarne almeno uno, interrogarlo e poi fare rapporto, ma l'aggressore giaceva a terra sgozzato prima che lui e Tenzo potessero muovere un muscolo, i restanti si erano prontamente dileguati a causa dello spavento.
L’assalto sarebbe andato a segno senza l’intervento di Itachi. Però, l'impiegabile disarmonia era stata più forte dell’eccellente risultato ottenuto dall’ultimo arrivato.
Itachi li guardava con il kunai grondante sangue ancora nella mano. Basso, minuto, la sinistra maschera da donnola troppo grande per la sua testa. Il rosso gli inzaccherava anche la mano e il lato destro dell’uniforme. Ma Itachi li fissava impassibile, in attesa di nuovi ordini ora che almeno un dei problemi era stato risolto.
La macchia cremisi è ancora lì, persiste sulla retina di Kakashi; unita alle parole di Tenzo riguardanti le sue prime impressioni su Itachi, sfrigola come un marchio a fuoco appena impresso.
Bizzarro, Kakashi non si è mai ritenuto un tipo facilmente impressionabile.
Itachi è ancora un bambino, conserva la fotografia del fratello minore nell’armadietto, si abbevera del sorriso cartaceo per racimolare la forza ogni mattina.
Sono arrivati, Kakashi sa quale porta aprire nonostante sembrino tutte identiche.
“È questa la famosa stanza?” Itachi muove qualche passo nel seminterrato privo di finestre.
“Esatto.”
Kakashi lo vede accostarsi alla parete di fondo, quella stipata di monitor. Sa che le immagini gli sono familiari. Però Itachi non ha mosso un muscolo quando, il giorno precedente, Kakashi gli ha delucidato il suo nuovo compito di sorvegliare il borgo Uchiha. Itachi è al corrente delle illazioni che serpeggiano sul suo clan in merito all’incidente dell’Enneacoda. Ligio al dovere, ha semplicemente giurato di non farne parola con nessuno, famiglia compresa.
“Siamo in grado di vedere tutto?” Itachi osserva gli innumerevoli comandi a cui fanno capo i monitor.
“Non serve, è sufficiente un controllo generale.”
Kakashi fissa la sua schiena mentre si siede dinanzi a leve e pulsanti, il codino che gli ricade in mezzo alla schiena. Un’amena eleganza a cui Itachi non fa neanche caso. Alle persone straordinarie come Itachi la vita scivola addosso in sordina, apprendono i legami d’amore e amicizia rifacendosi alla mera teoria letta nei libri. O, peggio ancora, per sentito dire. Macchine da guerra che considerano la gioia infantile e superflua.
Un’altra povera anima condannata ad attirarsi addosso vuoto e dolore.
Al Kakashi di eri, tutto ciò non sarebbe interessato. Tuttavia, avverte con quel ragazzo molti punti in comune. Il loro carico di sofferenza e privazioni, è un'inconfutabile similitudine che non riesce a scacciarsi dal cervello.
In silenzio, Itachi aziona leve e schiaccia pulsanti. Il monitor davanti a lui applica uno zoom in un punto ben preciso, Itachi sa quello che sta facendo. L’attenzione di Kakashi è monopolizzata a tal punto da non rendersi conto che ormai è in marcia per raggiungere l’allievo.
Un bambino corre sullo schermo. A occhio e croce dovrebbe avere cinque anni, indossa una tracolla più grande di lui che, ogni tanto, lo fa inciampare. Malgrado l’assenza di colori e la scarsa risoluzione, si apprezzano le sue guance arrossate e i capelli sudati. Ha una gran sollecitudine di arrivare, o d’incontrare qualcuno. Gli occhi sono gioiosi.
Kakashi prende posto pacato accanto a Itachi, individua un accenno di sorriso mentre osserva il fratello minore.
“Senti, Itachi. Sebbene al momento tu non possa ancora cambiare il mondo, puoi fare molto per Sasuke. Da subito.”
Itachi si distoglie dal monitor per ruotare la testa nella sua direzione. Nei suoi lineamenti, di base immutabile, Kakashi decifra le lievi distorsioni dell’incredulità e della collera. Gli suona certamente bizzarra l’affermazione proveniente dallo stesso uomo che gli ha chiesto di spiare i suoi compaesani.
“Va’ da lui, passate del tempo insieme. Sasuke sarà più contento se ti vede un giorno senza pensieri.”
Il cambiamento d’espressione di Itachi è ancora lieve, solo chi lo conosce bene è in grado di coglierne gli evanescenti dettagli. All’improvviso, qualcosa che contrasta con l’essenza di Itachi. Schizza in piedi, quasi non ribalta la sedia. Kakashi fa appena in tempo a percepire i suoi passi che corrono a una velocità impressionante in corridoio. Sempre più rapidi.
E poi Itachi si materializza lì, al centro del monitor. Kakashi contempla sollevato le sue azioni silenziose. Districa Sasuke dalla tracolla troppo lunga per indossarla lui. Il piccolo, ubriaco di gioia, gli salta al collo per stampargli un bacio sulla guancia. Itachi ride, gli domanda qualcosa. Sasuke risponde, lui lo ascolta.
Il Kakashi di ieri sarebbe stato sordo sia alle proprie emozioni che a quelle degli altri, le avrebbe bollate subdole minacce di sofferenza, pericolosi attentati alla sua precaria armonia. Oggi sa che presto Itachi e Sasuke smetteranno di essere bambini, ma quello non sarà il giorno della sua sconfitta. Non colpevolizzerà se stesso, si sentirà giusto per aver donato loro gli ultimi istanti spensierati.
Un sorriso amaro incurva il bavaglio mentre Itachi e Sasuke si incamminano mano nella mano.