Ho messo 'per tutte le età', ma se siete molto suscettibili non so che dirvi...comunque è una twincest.
Conclusa: Sì
Fanfiction pubblicata il 29/01/2008 17:56:34
ABCABCABCABC
<b>Disclaimer: </b> tutto puramente inventato, non scritto a scopo di lucro.
Ambientata durante la seconda Guerra Mondiale.
<center><b>You had promised
(Never leave me alone)</b></center>
<b>2 Settembre 1944 - Berlino - Bill e Tom Kaulitz (6 anni)</b>
Quando arrivarono quegli enormi camion, tutti i bambini pensarono che fosse una specie di gioco.
Gli adulti sorridevano e li spingevano a salire lì sopra più velocemente possibile, dicendo che si andava in un bel posto. E gli adulti dicono sempre la verità, l'avevano imparato a scuola, no?
- Tomi, la mamma? - chiese solo Bill quando il fratellino lo prese per mano trascinandolo sopra uno dei camion, come gli era stato indicato.
- Hanno detto che viene dopo. - rispose Tom alzando le spalle, sedendosi in un angolo e indicando a Bill di fare lo stesso. Bill si accovacciò accanto a lui, stringendo la manica della sua maglietta. - Dopo quando? - chiese ancora con voce lagnosa. Quegli uomini in divisa non gli ispiravano per niente, soprattutto perchè aveva visto alcuni di loro spingere con la forza altri bambini a salire su quei camion.
- Non lo so, Bill! - esclamò stufo il gemello, calandosi un berrettino beige in testa. La luce del sole lo infastidiva.
Bill rimase in silenzio fissando ora Tom ora i loro coetanei che continuavano a riempire quei grossi camion. Dopo poco, non resistette e dovette fare un'altra domanda. - Perchè solo noi andiamo in un bel posto? -
Tom si girò a guardarlo interrogativo. - Solo noi in che senso?Non vedi quante persone ci sono? -
Bill scosse la testa. - No!Io dicevo......perchè quelli che abitano vicino casa nostra non sono stati chiamati stamattina, ad esempio? - Bill ricordava di aver incontrato più volte quei ragazzini presuntuosi per strada, che lo additavano sempre come 'diverso' e lui non sapeva neanche perchè. Aveva i loro stessi capelli biondi, la stessa faccia, le stesse gambe...era un bambino come loro, perchè veniva considerato 'diverso'?
Tom sospirò, calandosi un po' di più il berretto. - Dev'essere perchè papà è ebreo o una cosa del genere. -
Bill spalancò gli occhi. - Che c'entra questo? -
- Bhè, ho saputo che quelli che sono ebrei vengono mandati in un bel posto perchè sono speciali e devono avere un premio. Me l'ha spiegato una guardia mentre ci portava qui. - Tom alzò le spalle, guardando fuori dal camion. Erano ancora fermi e, a qualche decina di metri dai camion, poteva vedere tanta gente in tumulto vicino alle fabbriche. Lì lavorava anche la mamma, chissà se stava lì in mezzo?
- Ma noi non siamo ebrei, papà lo è! - ribattè cocciuto Bill, a cui quella storia non andava giù. Che premio avrebbero mai potuto ricevere?Forse perchè non erano presuntuosi come i loro vicini di casa?Tossicchiò leggermente portandosi una mano alla bocca.
Tom gli diede un buffetto sulla guancia. - Certo che sei scemo: se papà è ebreo, automaticamente anche noi siamo considerati ebrei, perchè papà è sposato con mamma! -
Bill annuì portandosi le ginocchia al petto e fissandosi i piedi. - Quindi...è una cosa bella? - chiese incerto, il labbro inferiore che gli tremava leggermente. Era sempre stato molto attaccato alla mamma, e questa cosa di separarsi fino a momento da definirsi non gli piaceva.
Tom lo fissò di sbieco, percependo la sua inquietitudine e sorridendo leggermente. Bill era sempre Bill.
Si portò più vicino a lui, avvolgendolo in un abbraccio e baciandolo innocentemente sulle labbra. - Finchè ci sei tu, per me sarà una cosa bella. - fece strusciare il suo naso contro quello di Bill, appoggiando poi la fronte contro la sua.
Bill arrossì violentemente, aggrappandosi alla schiena di Tom come se fosse l'ultima cosa che gli rimanesse. - A...anche per me, Tomi! -
Sentirono il rombo del motore, poi il camion partì. Si alzarono in piedi per vedere se riuscivano a scorgere la mamma, che in quel momento doveva essere lì a lavoro.
Videro un gruppo di persone dalle facce tristi che si avviava verso un camion simile al loro, mentre un altro gruppo - costituito quasi interamente da donne - sembrava esultare felice; tutti si abbracciavano.
Tom aguzzò la vista, concentrandosi sull'ultimo gruppo, e riuscì a intravedere la mamma.
- Bill!Bill!Eccola! - esclamò esultante Tom tirando un braccio di Bill e indicando insistentemente una donna in mezzo al gruppo. Bill assottigliò gli occhi, sforzandosi di identificare in quella figura indistinta sua madre, e finalmente ci riuscì. - Sì, è vero, è vero!!Tomi, salutiamola! - disse strattonando un braccio di Tom con impazienza. E, in effetti, non erano gli unici: tutti i bambini salutavano allegramente i loro genitori, e alcuni urlavano anche, sperando di farsi notare.
- Mammaaa!Maaaammaa!! - urlarono i gemelli agitando le mani in aria. - Se non si sbriga a guardarci la perderemo di vista! - si lamentò Bill sporgendosi fuori dal camion. - Bill, idiota! - lo apostrofò Tom tirandolo indietro con un braccio, per non farlo cadere.
Finalmente, qualcuno dal gruppo laggiù sembrò notare i grossi camion carichi di bambini. Le persone cominciarono a girarsi e ad additarli, per poi passare parola anche agli altri. In breve tempo avevano dimenticato la felicità di poco prima, e tutti fissavano increduli quello spettacolo, capendo all'istante cosa voleva significare.
I bambini continuavano a salutare ignari, sorridendo entusiasti di quel gioco a cui avrebbero partecipato anche gli adulti.
Gli adulti, dopo un primo momento di shock, se ne fregarono altamente delle guardie che li controllavano, e si misero a correre verso i camion con le braccia tese verso i loro figli.
Bill e Tom videro Simone corrergli incontro disperatamente.
- No!No, vi prego, lasciateli andare!Non hanno fatto nulla! - urlava. - Bill, Tom, scendete!Presto! -
I due bambini continuarono a salutare, non sentendo neanche una parola in tutto quel trambusto. - Ciao mamma!Non fare tardi, che sennò Bill si mette a frignare! - stava urlando Tom con un ghigno. Bill si limitava a sventolare la mano e a urlare a sua madre quanto le voleva bene. Smise quasi subito di gridare, preso da una forte tosse.
Poco dopo varcarono il cancello, uscendo dal campo in cui si trovavano le fabbriche.
Simone, insieme ad un numero indefinito di altre persone, cadde in ginocchio piangendo disperata. A cosa era servito riuscire a scampare allo smistamento per Auschwitz quella mattina, se adesso i suoi due figli si stavano dirigendo proprio là?
Se solo fosse stata un po' più robusta, l'avrebbero sicuramente spedita a lavorare in quel campo, e sarebbe potuta stare insieme a loro...
Si asciugò le lacrime, sentendo lo sguardo severo di una guardia puntarle addosso. Cercò di rialzarsi ma le gambe gli tremavano.
Guardò alla sua destra: un uomo in divisa stava strattonando per un braccio una donna che urlava disperata, il volto sfigurato dal dolore e dalle lacrime. - Li uccideranno, li uccideranno!! - stava dicendo.
Simone sbattè un paio di volte le ciglia, sbiancando. Come aveva fatto a non pensarci?I bambini non servivano a gran chè, sarebbero stati uccisi appena arrivati al campo!
Si sentì mancare, e cadde pesantemente a terra.
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<b>25 Gennaio 1945 - Auschwitz Birkenau - Bill e Tom Kaulitz (6 anni)</b>
Tom rientrò velocemente nella baracca, con un panno lurido in mano. Non c'era nessuno, tutti erano a lavorare. In realtà in quei giorni c'era subbuglio nel campo: si sentiva sempre più spesso di baracche che venivano bruciate senza motivo, e qualcuno vociferava che 'stava andando male per i nazisti'. Non che lui capisse perfettamente il senso di tutto quello.
Si avvicinò alla branda dove dormiva con il fratello e altre tre persone, e vi trovò Bill esattamente come l'aveva lasciato: steso sulla schiena, respirando a fatica e stringendo convulsamente uno straccio che erano riusciti a trovare per usarlo come coperta.
Guardando in che condizioni si trovavano, Tom si era spesso chiesto se non fosse stato meglio morire insieme a tutti gli altri bambini che erano arrivati al campo con loro.
Già.
Erano tutti morti.
Dopo aver fatto un viaggio estenuante in un treno lurido per non si sa quanti giorni, erano giunti ad una stazione completamente grigia, dove ad aspettarli c'erano un sacco di guardie.
Tutti i bambini erano stati portati in un grande magazzino, meno che loro. Un medico, infatti, che avevano poi scoperto si chiamava Mengele*, aveva bloccato la guardia che li stava 'scortando' e gli aveva detto che loro non potevano essere uccisi, perchè <i>'gli servivano'</i>.
Avevano poi scoperto che la loro salvezza era stata l'essere gemelli. Anzi, più che salvezza, condanna. Questo signor Mengele di fatto faceva esperimenti sugli esseri umani. Ovvio che gli si erano accese le lampadine vedendo due gemelli, per di più omozigoti.
Gli aveva fatto fare le cose più terribili, gli esperimenti più schifosi, mettendo continuamente a rischio la loro vita. Se si rifiutavano, bastava che lui gli ricordasse che erano ancora in tempo per seguire tutti i loro amichetti sotto 'le docce', che gli aveva spiegato essere letali.
Tom ricordò rabbrividendo di quando quel pazzo si era messo in testa di fare una 'vivisezione' su di lui. Non che sapesse cosa voleva dire, ma avendo visto lo strano coltello che si apprestava a usare sulla sua pancia non aveva urlato solo perchè gli avevano tappato la bocca. Non aveva potuto neanche dimenarsi, ovviamente, visto che era stato legato con delle cinghie.
In quel caso, l'aveva scampata perchè Bill si era messo ad urlare così forte che tutti si erano spaventati e si erano preoccupati di tapparsi le orecchie. Mengele in realtà avrebbe anche potuto continuare, ma forse quello che cercava di verificare l'aveva già ottenuto: quanto avrebbe sofferto un gemello da uno a dieci vedendo l'altro morire dolorosamente davanti ai suoi occhi?
Tom aveva imparato a definire quel tipo di persone 'sadiche'. Aveva imparato molte cose da quando era lì.
Non era affatto un gioco.
Ecco un'altra cosa essenziale: se stavi zitto e buono, vivevi. Con qualche graffio ma vivevi. Se ti lamentavi eri condannato.
Tom era piccolo, troppo piccolo per capire certe cose, ma aveva già compreso tutto di quel posto. A volte faceva ragionamenti anche troppo maturi per la sua età, ma le loro condizioni non permettevano altrimenti.
Quella non era più la loro infanzia.
Forse non era neanche vita.
Un gemito di Bill lo riportò alla realtà. La fronte del bambino era imperlata di sudore, e sul viso aveva un'espressione di dolore puro.
Tom tirò su col naso, sedendosi accanto e lui e poggiandogli la pezza umida e sporca sulla fronte. Cominciò a cullarlo, cercando di farlo star meglio. - Mi dispiace, Bill, è tutto ciò che ho trovato... - mormorò mentre una lacrima scendeva sulle sue guancie. Non si meritavano tutto quello, Bill non se lo meritava. La mamma non l'avevano più vista; niente di quello che gli era stato promesso era stato mantenuto. Tom serrò le labbra, baciando Bill sulla tempia bagnata. - Mi dispiace... - singhiozzò.
Bill si mosse appena fra le sue braccia, aprendo gli occhi. - Tomi.... - tossì.
- Sssh..non ti sforzare. -
- Tomi.. - ripetè Bill imperterrito. - Scusami.. -
Tom smise un attimo di cullarlo, stupito. - Di cosa..? -
- Non sono un bravo fratello...non ho fatto niente per te, mentre tu ti sforzi così tanto... - mormorò singhiozzando sulla camicia sporca di Tom.
- Non dire cose stupide, Bill...lo faccio perchè ti amo, e voglio che tu stia bene. - ribattè Tom asciugandosi una lacrima e riprendendo a cullarlo. Era distrutto, perchè nonostante tutti i suoi sforzi non era riuscito ad impedire che Bill si ammalasse. Forse era malato anche prima che arrivassero lì, infatti ricordava che tossiva sempre. Sicuramente le condizioni in cui vivevano da cinque mesi a quella parte avevano solo peggiorato la situazione. Lo strinse più a sè, mordendosi il labbro inferiore.
- Ma anch'io ti amo, eppure non faccio niente... - un altro colpo di tosse. Tom si coprì la bocca con una mano per non farsi sfuggire un singhiozzo.
- Non importa, davvero! - esclamò guardandolo preoccupato. - ...Bill, non mi lasciare. - esordì all'improvviso fissandolo con un'espressione terrorizzata. Bill alzò la testa, e sorrise debolmente. - Ma scherzi, Tomi?Io non ti lascerò mai...dobbiamo uscire da qui insieme, me l'hai promesso quando siamo arrivati, ricordi? -
- Sì... - Tom annuì poco convinto. Era quasi sicuro che quella tortura non avrebbe mai avuto fine. E la paura che Bill potesse lasciarlo gli attanagliava il cuore fin da quando suo fratello era malato. Vedeva continuamente gente che moriva lì dentro: che fosse per il lavoro pesante, o per la fame o per malattia. Soprattutto per quest'ultima, perchè nessuno si prendeva la briga di curare dei prigionieri che tutti volevano vedere morti. Lui l'aveva capito.
Bill tossì nuovamente sul suo petto, e Tom lanciò un'occhiata distratta alla sua camicia: era sporca di sangue.
- BILL! - urlò in preda al panico. Stava sputando sangue, non l'aveva mai fatto!Era peggiorato?Certo, non che quello che aveva fatto fosse servito a molto, lo sapeva, ma nel profondo del suo cuore sperava che Bill stesse migliorando almeno un po'!
Bill sembrò accorgersi solo in quel momento di ciò che aveva rimesso e spalancò gli occhi castani, boccheggiando. - Oh...oh, io.....non è niente Tomi, scusa se ti ho sporcato la.. - ma venne interrotto da un altro colpo di tosse con conseguente rimessa di sangue.
Tom si alzò di scatto, stringendo i pugni. - Vado a cercare qualcosa per curarti. - disse deciso. Non poteva perdere Bill, non poteva permetterselo. Sarebbe morto anche lui.
- No, Tomi, non mi lasciare da solo! - implorò Bill piagnucolando. Aveva una mano sulla gola, cercando di non tossire, mentre con la manica si puliva le tracce di sangue dalla bocca. Tom era combattuto: poteva uscire e cercare inutilmente un qualche rimedio alla malattia di Bill e lasciarlo solo, o rimanere con lui pregando che un qualche dio assolutamente bastardo non glielo portasse via.
Vedendo Bill allungare una mano verso di lui, optò per rimanere al suo fianco. Sperando non fosse l'ultima cosa che facesse.
Bill, con il volto ricoperto dalle lacrime, si strinse forte a lui. - Non te ne andare, non te ne andare.. - mormorò sconnessamente.
- Non vado da nessuna parte, promesso.....ma tu promettimi di non lasciarmi, non ce la farei senza di te, non ci riesco.... -
- Tomi, non voglio lasciarti...neanch'io ce la faccio senza di te...non voglio lasciarti, non voglio.. - si strofinò gli occhi. - Però, sono stanco Tomi...se mi addormento prometti che non te ne vai?Non voglio che mi lasci solo... - disse accoccolandosi meglio contro il suo petto.
Tom lo guardò preoccupato: perchè all'improvviso aveva tanta voglia di dormire?
Comunque poteva fargli bene, pensò, e appoggiò la guancia sulla sua testa. - Okay, Bill, riposiamoci allora... -
- Ti voglio bene.. - Bill chiuse gli occhi lentamente.
- Anch'io...tanto.. - rispose Tom sorridendo.
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<b>27 Gennaio 1945 - Auschwitz Birkenau</b>
Non era rimasto molto. I nazisti avevano bruciato più cose possibili.
I soldati sovietici si facevano avanti fra i cadaveri e i resti delle baracche, cercando i superstiti a quella strage.
Alcuni erano già in salvo, ma non c'erano molte speranze per chi non era stato trovato subito. Comunque, i soldati russi cercavano sotto ogni maceria, soprattutto alla ricerca di donne e bambini. Questi ultimi potevano essersi nascosti per la paura, erano così piccoli..
Se poi ce ne fossero stati, di bambini. Era risaputo che i nazisti li ammazzavano subito. La speranza, ad ogni modo, era l'ultima a morire.
Un soldato stava cercando fra le macerie di una baracca che, stranamente, non era andata a fuoco, ma era comunque crollata. Si poteva dire tranquillamente che era rimasto solo il pavimento.
I suoi compagni gli avevano detto di non perdere troppo tempo lì, che sicuramente non c'era rimasto nessuno, vivo. Ma lui continuava a cercare.
Aveva sentito che spesso le persone si erano salvate grazie a dei posti segreti, costruiti apposta dai prigionieri dentro le baracche, e quindi non si poteva mai sapere.
Spostò qualche tavola di legno, aguzzando l'udito, nel caso avesse sentito qualche suono che lo avvertiva che c'era ancora qualcuno lì.
Tolse i resti di una vecchia branda di legno e, finalmente, udì qualcosa. Sembrava un lamento di un animale ferito, o un gemito. Stette immobile e in assoluto silenzio, cercando di trovarne la fonte.
Era sotto i suoi piedi.
In fretta, si sbarazzò delle tavole del pavimento, che erano piuttosto leggere e fragili, portando alla luce una specie di nascondiglio o passaggio.
Saltò giù, scoprendo che non era neanche troppo buio.
Strizzò gli occhi un paio di volte, per abituarsi alla penombra.
- Qualcuno è qui? - chiese, cercando di parlare il tedesco meglio che poteva.
Per un attimo non sentì nulla, poi percepì un altro gemito e si avviò verso di esso. C'era uno strano odore là sotto.
Finalmente, in un angolo, riconobbe una piccola sagoma scossa dai singhiozzi: era sicuramente un bambino. Si avvicinò, rendendosi conto che teneva qualcosa o qualcuno fra le braccia.
- Stare calmo, io sono qui per aiutare. - spiegò mettendo le mani avanti a sè, per far vedere che non aveva cattive intenzioni. Il bimbo strinse più a sè la figura che aveva in braccio, e il soldato si rese conto che era un altro bambino.
Quando si fu avvicinato completamente, si accorse con orrore che quel bimbo stringeva a sè un cadavere: era un altro bambino, sì, ma probabilmente morto già da tempo, infatti la pelle delle braccia era già in stato di decomposizione, e probabilmente anche il resto, solo che non poteva accertarsene perchè il bimbo biondo lo stringeva a sè come se fosse la cosa più preziosa del mondo.
- Bimbo, come ti chiami? - chiese gentilmente, cercando di toccare l'altro bambino morto. Non ci riuscì perchè il bimbo lo spostò, cercando di tenerglielo lontano.
- T - Tom... - rispose in un sussurro, il volto rigato dalle lacrime.
- Va bene, Tom... - riprese il soldato con un sorriso. Tom vide che aveva una stella rossa sul cappello, e quindi non era un tedesco. Forse era davvero lì per aiutarlo, dopottutto aveva un volto davvero gentile. - ..adesso tu viene con me, così tu sta bene, okay? - poi posò lo sguardo sul corpicino gracile che Tom continuava a stringere. Doveva farglielo lasciare, era un cadavere.
Tom sembrò leggergli nel pensiero perchè urlò: - Non lo lascerò qui!Non lo lascerò da solo! -
- Come si chiama lui? -
Tom guardò il bambino che aveva fra le braccia, tirò su col naso e rispose. - Bill..è..è mio fratello. -
Ecco perchè non voleva lasciarlo andare, si disse il soldato. - Da quanto tempo sei qui, Tom? -
- D - due giorni...credo.. - mormorò abbassando lo sguardo.
Il soldato spalancò gli occhi. Era stato due giorni lì sotto con un cadavere!?
Scosse la testa, maledicendo quella stupida guerra che aveva rovinato un sacco di vite. Guardò il bambino che aveva davanti a sè: era terrorizzato, disperato, e accarezzava dolcemente i capelli del fratellino, come se potesse farlo star meglio. Come gli avrebbe detto che suo fratello era morto?Probabilmente lo sapeva, ma non voleva rendersene conto.
- Tom, adesso meglio andare.. - disse prendendo una mano al bambino biondo.
- Bill viene con noi. Non lo lascio qui. - mise in chiaro Tom, sfoderando una delle poche certezze che gli rimanevano.
Il soldato sorrise. Non sarebbe mai riuscito a separarlo da Bill. - D'accordo, anche Bill fuori di qui...cercheremo di curare lui, Да? - detto questo lo tirò su, e prese in braccio il corpo di Bill. Tom teneva con una mano un lembo della divisa del soldato, e con l'altra la manina di Bill. Il soldato osservò il viso del bambino: non si era ancora putrefatto, e potè notare che era identico a quello di Tom. Erano gemelli. Ecco perchè erano stati risparmiati; chissà cosa avevano dovuto patire!
Il russo scosse nuovamente la testa, e si affrettò a portare quel bimbo fuori di lì.
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<b>27 Gennaio 2008 - Tom Kaulitz (69 anni)</b>
- E' una storia molto triste, signor Kaulitz...così, lei è stato due giorni con suo fratello morto fra le braccia? -
Tom annuì torturandosi leggermente le mani. Quell'intervistatore lo scocciava anche troppo. Aveva accettato di fare quell'intervista solo perchè era uno dei pochi testimoni di quella strage ancora in vita, e doveva diffondere il suo messaggio a più gente possibile prima che nessuno fosse rimasto a testimoniare quell'orrore.
- Sì, è così. L'avevo promesso a mio fratello, dopotutto. - sorrise triste. - Anche lui mi aveva promesso di farcela e di non lasciarmi solo, ma purtroppo non ce l'ha fatta. Non gliene faccio una colpa ovviamente, so benissimo quanto volesse rimanere al mio fianco. -
- Non si è mai sentito come se stesse vivendo anche per suo fratello? -
- Mentirei se dicessi che non è stato così. Spesso mi sono chiesto se in realtà le mia esistenza non fosse solo un riflesso di quella che Bill avrebbe avuto il diritto di vivere. Ma poi scacciavo questo pensiero, perchè mio fratello non lo avrebbe mai voluto. -
Il giornalista annuì, scrivendo qualcosa su un taccuino.
- Ha più rivisto sua madre? -
- No. Dopo qualche mese dalla fine della guerra, ho saputo che era stata deportata in un campo di sterminio, quindi ho perso tutte le speranze. -
Era doloroso ricordare tutto quello. Era come avere diecimila coltelli affilati conficcati direttamente nel cuore.
- Che cosa le è rimasto di suo fratello? -
Tom sospirò, guardando il soffitto. - Cosa mi è rimasto?Niente, tutto. Lo sento sempre, lo porto con me. Lo sento nei gesti affettuosi, negli abbracci. Lo sento quando meno me l'aspetto. Lo sento quando ascolto le canzoni che piacevano a lui. Aveva dei gusti strani già da piccolo, sa? - rise leggermente. - In qualsiasi modo, sento che me lo sto portando dentro. - abbassò lo sguardo. - Poi c'è il dolore. Molto, forse troppo dolore. Un dolore indelebile, che non passa...e quasi ho paura che passi. Perchè il dolore può anche spronarti, insegnarti qualcosa. A me ha insegnato ad andare avanti, a non arrendermi, anche se è stato difficile rimettere insieme i pezzi della mia vita senza Bill. Il dolore ha fatto gran parte, ognuno ha un modo tutto suo per viverlo. -
Ricordava ogni attimo passato in quel campo. Gli si erano impressi in mente soprattutto gli ultimi momenti passati con Bill. Ancora non sapeva che l'avrebbe perso per sempre, che avrebbe perso l'unica persona che avesse mai amato più della sua stessa vita. Quando gli disse innocentemente che voleva dormire, pensava davvero che al risveglio l'avrebbe ritrovato come sempre. Malato, sì, triste, sì, ma <i>vivo</i>.
Invece il suo Bill non si era più svegliato.
Spesso gli veniva da piangere solo a ripensarci, e a stento si tratteneva, a meno che non fosse da solo.
- ...lei è una persona molto forte, lo sa? -
Tom alzò lo sguardo, sorpreso. L'intervistatore pareva essersi commosso, così come i cameraman e buona parte del pubblico nello studio. Forse poteva anche rivalutarlo, non era così idiota.
- Devo ringraziare il mio angelo custode, non ci ho creduto fino a che non ho scoperto di averne sempre avuto uno. -
L'uomo lo guardò interrogativo.
Tom sorrise.
- Bill. -
<b>FINE</b>
<b> Note finali dell'autrice: </b>
*Mengele: per chi non lo sapesse, era un medico che si divertiva a fare esperimenti sugli esseri umani nei campi di concentramento.
In questo periodo sono stata fissata con i campi di concentramento, e il giorno della Memoria ( con conseguente visione di 472823 tra film e documentari sull'argomento) non ha migliorato la mia condizione.
E qui è nata la tragedia.
Perchè questa è una tragedia.
Mi sono sentita male io stessa scrivendo la scena di Tom con in braccio Bill morto, infatti non riuscivo a continuare.
Mah, non so se augurarvi se vi abbia fatto lo stesso effetto o meno.
Potevo far morire Bill come pure Tom, non credo mi avrebbe fatto molta differenza...ma visto che ho letto spesso fic dove Tom muore e Bill è distrutto, stavolta ho fatto al contrario.
Spero che vi sia piaciuta almeno la metà di quanto è piaciuta a me.^^
Non si fanno piangere le persone!!! Wow, che bella questa ff... Mi hai fatto riflettere molto sul razzismo e adesso, quando c'è lazione di storia sul razzismo, mi viene in mente questo fatto tragico... Beh... Bill e Tom non hanno avuto tutti 'stì problemi, anche perchè, 1.Non sono ebrei. 2.Sono nati un pò tardi per essere sterminati! Ma chissà quante persone hanno vissuto veramente questa tragica storia... Bye Bye
Wow, che bella questa ff...
Mi hai fatto riflettere molto sul razzismo e adesso, quando c'è lazione di storia sul razzismo, mi viene in mente questo fatto tragico...
Beh... Bill e Tom non hanno avuto tutti 'stì problemi, anche perchè, 1.Non sono ebrei. 2.Sono nati un pò tardi per essere sterminati!
Ma chissà quante persone hanno vissuto veramente questa tragica storia...
Bye Bye