Manga e Anime
creata dalla serie "X"
e crossover Tsubasa Reservoir chronicle, Tokyo Babylon:
"*CORRUPTIO MORTIS*"
una fanfiction di:

Generi:
Romantico - Drammatico - Dark
Avvisi:
AU - CrossOver - Coppie Shounen Ai
Rating:
Per Tutte le età

Anteprima:
Una proposta? Il prezzo non era poi molto alto. Le mani non smettevano di tremare. - Potrei prendere la vostra vita, se desiderate - SeiSubaKam/FuuKam

Conclusa: Sì

Fanfiction pubblicata il 18/03/2009 19:42:27 - Ultimo inserimento 15/04/2009
 
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 NUNTIATIO


<b>Immagine scelta: </b> (immagine a cui la fic è ispirata) http: //i203.photobucket.com/albums/aa161/DarkRose86/8.jpg
<b>Personaggi/Pairing: </b> Seishiro X Subaru, Subaru X Kamui, Fuuma X Kamui.
<b>Genere: </b> Drammatico, sovrannaturale, dark, romantico.
Rating: Arancione.
<b>Avvertimenti: </b> Shounen ai, alternate universe, non per stomaci delicati.
<b>Note dell'Autore: </b> è piuttosto difficile definire i personaggi di questa fanfic, non so se vengono più da x1999 o da Tsubasa Reservoir chronicle! Quindi penso sia d’obbligo fare qualche breve precisazione! In ogni caso il mondo che ho creato può essere visto un po’ come un altro dei tanti mondi paralleli di Tsubasa, con personaggi che hanno la stessa anima ma tratti del carattere un po’ diversi. È un mondo a metà tra l’Inghilterra della seconda metà dell’800 (Vittoriana), l’antica Roma, ed un ipotetico mondo fantasy dark. In breve:
<i>Subaru: </i> è quello di Tokyo Babylon, in tutto e per tutto. Puro, candido, illibato, ingenuo ed inconsapevole di tutte le sue qualità.
<i>Seishiro: </i> sostanzialmente lui non cambia molto nei tre manga in cui appare, secondo me! xD è sempre il solito bambino capriccioso che non si rende conto del valore delle cose, freddo, cinico e sadico.
<i>Kamui: </i> è quello degli inizi di X1999 e di Tsubasa, orgoglioso, suscettibile, irritabile, ma pur sempre molto puccettoso! xD
<i>Fuuma: </i> è quello di Tsubasa, perlopiù, con la faccia da schiaffi, la provocazione sempre pronta ma anche un leggero sadismo che viene dal Fuuma stella gemella di Kamui in x1999. È un personaggio che non ho apprezzato eccessivamente in x1999, l’ho preferito decisamente in Tsubasa, ma non cambia comunque di molto.
<b>SECONDA CLASSIFICATA AL CONTEST ALTERNATE UNIVERSE SPECIAL 3° EDIZIONE DI DARKROSE!</b>
http: //i203.photobucket.com/albums/aa161/DarkRose86/BannerinoLadyKokatorimon.jpg
<b>Introduzione: </b><i> - …se non posso sapere chi siete, posso sapere almeno cosa siete? - L’uomo rise a quella domanda, freddo e teatrale come se gli fosse stata rivolta migliaia di volte in migliaia di vite.
- Richiesta assolutamente legittima, ma la risposta potrebbe esservi ancora più odiosa -
Improvvisamente gli parve che lo stesse prendendo in giro. –Potreste parlare chiaramente? -
Non c’era modo di farlo smettere di ridere? Strinse i pugni sui fianchi, tremando, trattenendosi dal fare qualcosa di assolutamente sciocco, assolutamente inutile. Quel modo di fare lo costringeva a distogliere lo sguardo con decisione, ed a sforzarsi di mantenerlo distolto. E, in qualche modo, l’agitarsi - delle forze mute - nel suo petto gli facevano temere la risposta alla domanda che aveva fatto.
Quell’uomo, per quanto facesse, continuava a fissarlo così direttamente e spudoratamente da farlo sentire nudo, del tutto alla sua mercé.
Privo di qualunque difesa. E troppi segni, messi insieme uno dopo l’altro, fanno un indizio.
- Potrete non crederci, ma io sono un Dio della morte - </i>


<i><b>CAPITOLO I - Nuntiatio.</b></i>

Nebbia. C’era nebbia ovunque.
Ondeggiò leggermente nell’aria, stringendo la presa sul manico di un ombrellino che non avrebbe potuto reggere il peso di uno spillo.
La sua figura nera spiccava all’orizzonte, nera e longilinea.
Peccato non ci fosse nessuno ad osservarla. Anzi, era molto meglio così.
L’umidità si cristallizzava nei capelli neri, arruffandoli, il vento lo costringeva a trattenere il cilindro dal volare via dalla sua testa.
Sì, era impresentabile. Quel dannato clima lo rendeva decisamente impresentabile. Ma il mondo dove stavano i viventi era d’un inciviltà e d’un ignoranza talmente radicata che pareva facesse ancora più brillante la sua eleganza.
Anche sé, alla fine, non gliene importava.
L’uomo sorrise, amaro, controllò l’ora sul suo orologio da taschino, dette un occhiata alle sue annotazioni.
Impero di Ohkawa. Stato monarchico, comprendente una popolazione di trecento milioni di abitanti, dall’equilibrio traballante e l’ impudente presunzione di non temer troppo l’inferno. Ed una spiccata ingenuità, concluse aggiustandosi una rosa bianca nel taschino della giacca.
Per loro l’aldilà non esisteva? Tanto di guadagnato, pensò. Lo stupore dei viventi lo divertiva, e il loro affannarsi non gli dava pensiero.
Vampiri, licantropi, streghe, veggenti, falsi veggenti, fate, megere ed ingannatori, illusionisti, fattucchieri, assassinati ed assassini.
Un bel regno delle favole fatto solo d’antagonisti, immerso nell’oscurità, che affogava ed affogava, e pensava d’aver visto già tutto.
Si sbagliavano, e non era neanche necessario che lo capissero. La morte non batte un colpo, quando sta per arrivare.
Due bei principini senza Re e senza Regina, con il carico del comando già predestinato alle loro schiene. L’avrebbero presto incontrata.
Nebbia, ancora nebbia. Ghignò, terminando la discesa sulla lampada spenta di un lampione, che costeggiava il viale principale del giardino.
Chiuse e ripose l’ombrellino, si accertò che la giacca fosse intatta, aggiustò la posizione del monocolo sull’occhio sinistro.
Osservò nuovamente le informazioni segnate sulla carta di un block notes di un acceso blu elettrico, poi si disse d’essere paziente.
- Subaru… - sussurrò, cercando di convincersi che quel nome avesse un suono dolce.
Ed in effetti l’avrebbe avuto, se solo avesse avuto interesse nel rendersene conto.
- Devo aspettare, solamente aspettare, sta per arrivare - sussurrò, quando il rimbombo di una porta sbattuta ed il fracasso d’un cuore spezzato di fresco giunsero alle sue orecchie. Si disse di preparare un accoglienza sufficientemente regale, aggiustò il papillon sul collo niveo, poi osservò come la nebbia si diradava e danzava in anticipazione.
- Tic tac... tic tac…. tic tac…. tic tac…. tic tac…. tic tac… -
La nebbia si faceva sempre più fitta, il suo arrivo più prossimo.
- Vieni da me, bel principino -


- Principe Subaru -
- Hinoto san -
Hinoto aveva avuto una ragione ben precisa per chiedere di lui, proprio di lui, e proprio in quel momento. Non era la sua volontà, non era la volontà di nessuno. Era semplicemente il destino infame di quel loro mondo gotico e dissoluto.
Affranta osservò il futuro governo fare il suo ingresso davanti ai suoi occhi.
C’era qualcosa che doveva dirgli, con le lacrime agli occhi e le mani serrate sul cuore
Il governo non aveva sufficiente forza a tenerlo in catene ogni giorno.
- Mi avete fatto chiamare? - chiese, inchinandosi poi davanti a lei.
Era bello e fragile, come un cristallo. Romperlo non era suo desiderio, ma rispose comunque con un espressione colpevole.
Il principe Subaru dell’impero di Ohkawa era famoso per le bellissime labbra rosee, per l’incredibile levigatezza della pelle, per l’armonia dei lineamenti, per i finissimi capelli corvini, per la linea perfetta del corpo sinuoso, per l’indicibile pace che i suoi occhi comunicavano a chiunque stesse ad osservarli. Smeraldi che, se addentati anche solo una volta, mondano ogni peccato dell’anima.
Ogni cosa di lui era impregnata di un energia spirituale purificatrice mai vista.
Eppure bastava un niente per incrinare quella perfezione.
- Sì… - rispose, come cercando di prendere tempo - … ho fatto un sogno -
- Che tipo di sogno? - Hinoto, improvvisamente, ebbe paura di parlare.
- Ti fai troppi scrupoli, sorella mia -
Kanoe, sorella e assistente della suprema veggente dell’impero, aveva molti meno pesi e molte meno responsabilità a rendere nero il suo futuro.
Eppure era esattamente così che sarebbe stato, il fatto era che non ne fosse a conoscenza. Sua sorella la guardava, si mordeva la lingua, e taceva.
Ma anche lei tacque, e si rivolse in alto. Stavolta era troppo anche per lei, da confessare.
Nessuno voleva rompere quella bella bambola.
Nessuno voleva che il loro vanto venisse macchiato, quando non c’era più nulla di pulito nel creato.
- Che cosa intende, Kanoe san? -
- Riguarda suo fratello -
- Kamui? - annuirono. Ma non riuscivano ancora a parlare.
Ed Hinoto decise che non ci sarebbero riuscite mai. La mano sollevò lo scettro della veggente, il paesaggio cambiò.
Le stanze private della consigliera reale sparirono, l’altissimo soffitto finì in briciole, le vetrate che irradiavano la luce sul pavimento scoppiarono e i vetri che vennero loro addosso non li ferirono. Un turbine di vetro d’ogni colore e dimensione, polvere, ed energia magica li investirono, e non rimase più nulla di tutto ciò che avevano visto fino ad allora. Lo spazio collassò e rinacque in un movimento di salita e discesa breve come un battito di ciglio. Poi Hinoto stette col capo chino, i lunghi capelli ricaduti in terra, lo scettro ad indicare qualcosa più in alto.
- Guardate voi stesso, principe -
Hinoto non prevedeva mai lieti eventi, o, se lo faceva, tendeva a non farne parola con nessuno. Perciò sapeva già cosa aspettarsi, perciò si rifiutò di guardare fin da subito ciò che gli veniva mostrato. Il fulgore delle iridi si nascose e si mostrò, titubante, poi non ci fu altra scelta.
Nel paesaggio desertico davanti a lui, fatto d’un cielo rosso come il sangue ed una distesa di teschi dalle mascelle digrignate, cadaveri ingioiellati con zaffiri, rubini, diamanti, e lupi ululanti, vide la sagoma di una croce sospesa nella nebbia. Qualcuno stava a guardarla, immobile nel vento che ora faceva dibattere i suoi capelli - anche se non faceva parte di quel sogno e anche se il vento che spira in un sogno non dovrebbe smuovere nulla di realmente esistente - . Nonostante ciò afferrò la stoffa della camicia sul petto, e tremò.
- Che cosa significa… questo? - Hinoto era al suo fianco, inchinata e silenziosa.
- Esattamente quello che vedete - criptica e avara di parole, come al solito. Era strano che, per la prima volta in tanto tempo, riuscisse a pensare che quel suo atteggiamento fosse irritante. Non aveva mai avuto il coraggio di giudicare nessuno, in verità. Avrebbe voluto urlarle contro.
- Presagio di morte - giunse la voce tetra di Kanoe. La schiena del principe sussultò come fosse stata colpita a tradimento.
Una sua copia gli rivolgeva un sorriso diabolico ed un pianto appena accennato, fatto di gocce ancora integre sulle guance. Le braccia conserte, le iridi affilate, il corpo inclinato all’indietro ancora più minuto del solito. Il vento sferzava il mantello nero dietro le sue spalle, facendolo sembrare in fuga. Sorrideva e piangeva, davanti alla scena che si svolgeva al centro del palcoscenico.
- CHE COSA SIGNIFICA? -
Kamui, era appeso alla croce, sanguinante.
E, mentre lupi affamati sbranavano uomini urlanti ed una battaglia cominciava a materializzarsi dietro la scena principale, il mucchio dei teschi privi di un qualsiasi brandello di carne aumentavano, come le bestie se ne saziavano e tornavano ad ululare all’esecuzione del Re decaduto.
E lui, perché non faceva nulla? Perché sorrideva come se andasse tutto bene e non faceva nulla per aiutare suo fratello?
- Fratello… - chiamò Kamui, grondando sangue dalla bocca.
Il boia, vestito di un mantello nero che impediva di riconoscerne le fattezze, danzava intorno a lui maneggiando una falce pulita, scintillante. Rideva, s’inchinava al cospetto del Subaru ghignante, gli faceva una riverenza rendendogli merito di qualcosa che loro non sapevano. Trotterellava e rimbalzava nella nebbia di sangue come fosse una festa di primavera.
Presagio di morte.
- Chi è stato? - quando lo chiese la sua immagine si voltò, volteggiò in una piroetta, e tornò a rivolgergli la sua espressione contraddittoria.
Non rispose alla sua domanda, ma ora piangeva a dirotto e rideva a crepapelle, mentre suo fratello implorava il suo perdono.
Si conosceva abbastanza da capire che avrebbe voluto darglielo, insieme ad un potere che non desiderava.
Non l’aveva mai desiderato, d’altronde. Soprattutto se quelli ne erano i risultati.
- Perché me lo state facendo vedere, Hinoto san? -
- La guerra è vicina, principe… - intervenne Kanoe - … quei mostri sono sempre più insofferenti -
- Forse dovreste solo smetterla di definirli mostri! - urlò, come non faceva mai - …ma questa… è la condanna a morte dell’imperatore! -
- Non è ancora detto, principe… - sussurrò, improvvisamente remissiva - … il Re potreste essere… -
- NO! - urlò, ancora più forte. –È solamente la guerra che volevate farmi vedere? -
Nessuna delle due rispose, chinarono il capo evitando lo sguardo bellissimo ed indignato che veniva loro rivolto.
Subaru digrignò i denti, osservò gli occhi d’ametista di suo fratello scintillare di supplica, poi esser chiusi da palpebre insanguinate.
Trattenendo il pianto, a cui la sua immagine di chissà quale futuro si era abbandonata, lasciò la stanza sbattendosi dietro le spalle la colossale porta. Ed appena udì l’uscio richiudersi dietro di lui, le sue mani grondarono sangue invisibile, suo solamente per metà.
Corse via con tutta la forza che aveva nelle gambe.

<center><i> - Tic tac... tic tac…. tic tac…. tic tac…. tic tac…. tic tac… - </i> </center> La nebbia che aleggiava sul giardino del castello non era nebbia qualsiasi.
Era una barriera contro la minaccia incombente, che respingeva i nemici e appesantiva le gambe degli amici. Brillava ed ondeggiava, beffarda, baciando le belle labbra e ostruendo le gole degli orrendi malvagi. S’inchinò perciò, quando il principe giunse, ed assaporò il momento in cui avrebbe potuto baciare le labbra più belle dell’impero. Ma, certamente, Subaru non ne avrebbe potuto trarre consolazione.
Corse lungo il viale costeggiato dai lampioni spenti, poi si fermò.
- Dannazione -
- - Tic tac... tic tac…. tic tac…. tic tac…. tic tac…. tic tac… la guerra incombe, principino, la guerra incombe! -
Che la nebbia, per amor suo, avesse finalmente preso vita e consistenza per consolarlo? Quell’illusione lo fece innervosire, perché ora stava indubbiamente piangendo. Lui non voleva piangere, perché non ce n’era bisogno né utilità. NON VOLEVA PIANGERE!
Eppure il bagliore dei verdissimi occhi inumiditi ammagliò il suo interlocutore. Scorse un ombra nera, nella nebbia.
- Chi è là? -
<i> - Nell’anno 1869 dopo la grande Guerra dei licantropi, l’impero di Ohkawa, sotto il governo provvisorio della Grande veggente Hinoto, si avviava ad un nuovo scontro contro la nascente “Armata dei mostri”… - </i> declamò quella strana voce, come stesse leggendo un libro di storia.
- Ho detto chi è là! -
<i> - … La crescente presa di coscienza da parte dell’oppressa popolazione di licantropi, vampiri e spettri, stava portando alla messa in discussione del governo dei maghi, in assenza di un imperatore sufficientemente autoritario che potesse sopprimere le sempre più frequenti rivolte… - </i>
Sentirsi spiattellare addosso tutta la difficoltà della sua situazione, con quel tono da lezione di scuola elementare, lo stava irritando, era evidente, e ciò rendeva ancora più ironico ed altisonante il tono di quella voce, man mano che le belle guance si facevano più rosse ed invitanti.
- Basta! -
<i> - …Non era possibile procedere all’incoronazione, fin quando l’erede al trono non avesse avuto sedici anni d’età ed una sufficiente preparazione dal punto di vista delle arti magiche. Ma, in quel caso, la situazione era ancora più problematica… - </i>Stava per gridare ancora al nulla di rivelarsi a lui, quando all’improvviso lo vide. Il profilo di un uomo seduto su un lampione, che rideva. La nebbia sembrava essersi decisa a fargli spazio, in modo che potesse vederlo nitidamente, proprio quando i suoi occhi s’erano posati su di lui, poi su un altro paio di occhi, allungati ed abbaglianti. Un uomo in frac, con un singolare ombrellino nero in mano ed un cilindro sulla testa, un libro nella mano sinistra, l’osservava sorridendo.
Istintivamente rabbrividì, al modo con cui lo faceva. A quelle iridi sottili e quella bocca storta in un espressione dolce, dolcissima.
Inclinò la testa, stettero a fissarsi nel tempo in cui lui assestava la stoffa dei guanti sul polso destro, ed il monocolo con un breve roteare d’indice e pollice. Non aveva paura, non aveva ancora ragione di averne, eppure non riusciva a parlare.
Deglutì.
- Buonasera - salutò l’altro, chiudendo il libro che stava leggendo in un tonfo sordo.
- Buo… buonasera - balbettò Subaru in risposta.
- La stavo aspettando, principino Subaru. Ho aspettato talmente tanto da cominciare a farmi dei dubbi sul fatto che questi abiti fossero adatti a questo mondo… - non capendo il motivo di tale affermazione, il principino in questione assunse un espressione perplessa.
- Come conoscete il mio nome? Non ricordo di avervi mai incontrato prima d’ora, Signore -
- Siete pur sempre un principe, credo che in molti vi conoscano… - rise - … ma in questo caso avete ragione. Non è questo il motivo per cui vi conosco - appoggiò il mento sul palmo della mano, mentre lo diceva, e la sua faccia si fece ancora più illuminata e benevola.
Subaru sbatté le palpebre, circospetto, poi osservò come, con uno sventagliare delle “ali di rondine” intagliate nel retro della giacca - lembi di stoffa tagliati ad uncino come pugnali anneriti - , l’uomo scendeva dall’alto fino a ritrovarsi davanti a lui.
Era bello, molto bello, con un viso affusolato sotto corti capelli neri. Bello in una maniera oscura ed intrigante, che attira l’attenzione, la cattura, e non la lascia più libera. Elegante nell’abbigliamento, e nel portamento, ponderato in ogni singolo respiro. Sussultò, quando l’uomo richiuse l’ombrellino, aggrappato al quale aveva levitato fino a terra, poi ritrasse lo sguardo in un luccichio verde degli occhi troppo grandi.
- Perdonatemi per aver parlato a sproposito di una faccenda tanto tragica… - cominciò, rialzandosi da un breve inchino.
- … ma è singolare ritrovarsi davanti un personaggio storico proprio mentre si stava leggendo di lui su un libro di storia! -
Naturalmente Subaru non capì - … ma non ve ne date troppo pensiero, comprenderò presto l’andamento delle cose in questo mondo -
- Non capisco, signore -
- Ordinaria amministrazione! - disse, soltanto, ridendo d’una leggera risata da galateo.
Il libro nelle sue mani mutò in un taccuino dallo strano colore evanescente, piuttosto pacchiano, che ripose in una tasca della giacca.
- E perdonatemi anche se non mi presento, ma ritengo che sia solamente una perdita di tempo. Alla fine della nostra conversazione penso che voi stesso mi chiederete di non mettervi a conoscenza del mio nome… -
- Rispetterò il vostro parere, signore… - fece, fin troppo cortese date le circostanze - …anche se ritengo che siate troppo sicuro di voi stesso e delle vostre idee, ma… - Subaru reclinò la testa, digrignando i denti sotto la soglia delle labbra serrate, coi sensi confusi da qualcosa che non riconosceva - …se non posso sapere chi siete, posso sapere almeno cosa siete? - L’uomo rise a quella domanda, freddo e teatrale come se gli fosse stata rivolta migliaia di volte in migliaia di vite.
- Richiesta assolutamente legittima, ma la risposta potrebbe esservi ancora più odiosa -
Improvvisamente gli parve che lo stesse prendendo in giro. –Potreste parlare chiaramente? -
Non c’era modo di farlo smettere di ridere? Strinse i pugni sui fianchi, tremando, trattenendosi dal fare qualcosa di assolutamente sciocco, assolutamente inutile. Quel modo di fare lo costringeva a distogliere lo sguardo con decisione, ed a sforzarsi di mantenerlo distolto. E, in qualche modo, l’agitarsi - delle forze mute - nel suo petto gli facevano temere la risposta alla domanda che aveva fatto.
Quell’uomo, per quanto facesse, continuava a fissarlo così direttamente e spudoratamente da farlo sentire nudo, del tutto alla sua mercé.
Privo di qualunque difesa. E troppi segni, messi insieme uno dopo l’altro, fanno un indizio.
- Potrete non crederci, ma io sono un Dio della morte -
- Dio della morte? -
- O Shinigami, se proprio lo preferite -
- Non era questo che intendevo… - disse, tornando a rivolgersi a lui, ora stupito - … ci credo, in qualunque modo vogliate esprimere la vostra natura -
- Dovevo immaginarlo… - rispose, la sua presenza diveniva incombente, tutt’ad un tratto - … siete pur sempre il principe di un regno di maghi -
- Ho letto qualcosa, al riguardo -
- Ma non credo che basti -
- Cosa volete da me? - chiese, risoluto, fronteggiando l’improvvisa vicinanza.
- Ho un contratto da proporvi, un contratto che potrebbe interessarvi parecchio, un contratto che potrebbe risolvere il vostro problema -
Non ricordava che gli Shinigami potessero leggere nel pensiero, né avere doti divinatorie, né, in ogni caso, avere una minima idea della portata del suo problema. Così grande che il sottile confine tra il contratto e l’inganno diveniva fin troppo semplice da oltrepassare. Aveva tutto da perdere e niente da guadagnare, anzi, avrebbe dovuto solamente supplicare chissà chi o chissà cosa affinché tutto non finisse di punto in bianco. Che quel “chissà chi” o “chissà cosa” fosse proprio lì davanti a lui, nelle sembianze di un gentiluomo in frac, beh, non riusciva proprio a crederlo.
Non rispose, alzando il mento in modo da avere tutto sotto controllo. Ma continuava a rimanere in silenzio.
- Sa come finirà questa bella storia? Sa cosa dice questo libro a riguardo dei due bei principi gemelli? -
- Niente… - rispose, con quanto buon senso avesse dentro di sé - … niente che non sia ancora accaduto -
- È accaduto, anche se non lo è ancora. Io posso cambiare i fatti scritti qui sopra… - indicò il libro - … e posso farlo in modo che voi ne siate pienamente soddisfatto. Ma prima devo sapere che cambiamenti volete apportare al destino, ed io esaudirò la vostra richiesta -
Non gli parve di potersi fidare così facilmente, ma il Dio della morte rise, ed accennò un inchino. –Allora, avete già assistito alla premonizione? -
- Voi potete cambiarla? -
- Sono qui apposta, sempre che voi rinunciate ad ogni inutile sospetto. Vi dirò le cose esattamente come stanno -
- E perché dovrei credervi? - non rispose, togliendosi il cilindro ed offrendoglielo, come fosse un offerta di pace.
- Allora, volete conoscere il destino di questo mondo, oppure no? -
Subaru tentennò, arrossì in modo grazioso, poi fece un cenno deciso con la testa che poteva significare qualunque cosa. Ma lui era certo fosse un sì, perché aveva sempre saputo analizzare le persone con abbastanza perizia, così rise, e sostenne il proprio peso facendo perno sull’ombrello.
- Avete già assistito all’esecuzione di vostro fratello Kamui, presumo, ovvero del probabile futuro Re di questo regno. Diverrete quindi voi il Re. A causa di ciò questo regno non sarà più in grado di tenere testa alle rivolte dei mostri, sia per la vostra scarsa attitudine al comando, sia per il vostro eccessivo buon cuore, portando così alla caduta dell’attuale governo e ad una guerra che provocherà un immane numero di vittime… -
- È questo il motivo per cui Hinoto san mi ha fatto vedere il suo sogno - -
- Esattamente… - sembrava quasi stupito dal fatto che sotto quella bella faccia ci fosse anche un essere vagamente intelligente - …Kamui, al contrario di voi, saprebbe guidare l’esercito ed utilizzare la forza bellica in modo da reprimere in modo efficace i tumulti, senza inutili pietismi -
- I miei non sono pietismi! - urlò Subaru, indignato –La guerra non risolve nulla! Gl’inutili spargimenti di sangue non sono una soluzione! -
Lo Shinigami non sembrò essere toccato dal sentimento espresso da quelle parole. Si limitò infatti ad ascoltale, improvvisamente apatico.
- Non è a causa delle inutili beghe tra viventi che io sono qui. Non è questo il punto -
- E allora qual è il punto? -
- Vostro fratello potrebbe morire… - disse, improvvisamente privo d’espressione - … ma non è detto che debba essere lui, a morire -
- Cosa intendete? -
- Quello che ho detto… - rise - … qualcuno deve morire quel giorno, in quell’esecuzione, per lo stesso motivo e nello stesso modo, consumando la stessa energia vitale e versando lo stesso sangue. È necessario che sia così, perché è imminente una nuova nascita in questo mondo, che richiederà spazio da occupare, aria da respirare, energia da consumare. Ma non c’è una differenza tra una vita e l’altra, non una differenza tra vita umana e vita demoniaca. L’equilibrio di questo mondo non fa caso a chi fa morire e a chi fa nascere. In virtù di questo io vi faccio una proposta -
Subaru, che aveva taciuto per tutto il tempo che l’altro aveva parlato, stette ad aspettare, rifiutandosi d’intuire. Non intuì nulla, quando tutto era così chiaro da esser fuori dal dominio di qualunque pura intuizione. Se la morte s’era disturbata a tanto solamente per parlargli non poteva esserci che una sola ragione. La morte si nutre di vita, e la vita si nutre di morte, e lui si sentì come una preda. Una preda beffata dall’imbroglio quando d’imbrogli non ce n’era affatto bisogno. Una proposta? Il prezzo che immaginava non era poi molto alto. Ma le mani non smettevano di tremare.
- Potrei prendere la vostra vita, se lo desiderate -
Con gli occhi illuminati oltre ogni dire, Subaru spalancò davanti a lui le belle labbra –Pe… perché? -
Finché il sospetto non lo toccava quella preda rimaneva irrisoriamente facile da catturare. Ma non c’era trucco, non c’era inganno.
Non sarebbe stato altrettanto divertente. Rideva, un passatempo non ha mai un perché preciso. E l’eternità è una giostra immobile su cui tutti vogliono salire, ma da cui tutti vogliono fuggire una volta che il capriccio è soddisfatto. E più la si distrugge, più ella si ricostruisce, ogni volta più noiosa ed immobile di prima. Sorrise senza rivelare nulla, a quel transitorio capriccio dagli occhi di smeraldo che la sua eternità offriva. Poi rise.
- Ma dovrete corrompermi… - disse, ridendo - … corrompete la morte, ed ella vi sarà amica -
Più stupito di prima, con uno stupore così tenero che ogni tranello sembrava una bassezza, chiese –Cosa potrebbe corrompere la morte? -
- Molte cose… - rispose - … potrei dire che rivelarvelo renderebbe le cose meno interessanti, ma… -
- Ma? -
- Ma la realtà è che probabilmente non dovrete fare proprio nulla -
- Non capisco -
- Non è necessario… - reclinò il capo. - … v’assicuro che non vi sto ingannando, in virtù del fatto che non ne avrei alcun bisogno, non credete? -
Subaru balbettò, pensandoci, quando era arrivato a quella conclusione fin dall’inizio –Imm.. immagino che sia così -
- Potrei uccidervi qui, adesso. Far spezzare quel bel collo d’alabastro… - lo Shinigami fluttuò coi piedi a qualche centimetro dal terreno, poi scomparve dietro un ammasso di nebbia come fosse stato un mantello dietro cui nascondersi. Subaru avrebbe voluto appellarsi ad ogni tipo di vista che aveva a disposizione per localizzarlo, ma un respiro gelido lambiva già la sua nuca, lieve. Sussultò.
- … oppure fare in modo che l’anima fuoriesca dal vostro corpo come la morte non fosse mai calata su di voi… - afferrò gli stretti fianchi - … o deturparvi fino a distruggere ogni cosa vi leghi al mondo dei viventi, ogni nervo, ogni osso, succhiare ogni singola goccia di sangue in cui la vostra vita risiede, far chiudere per sempre questi begl’occhi… - una mano si avvicinava al viso - … serrare queste deliziose labbra… - mentre le nominava le sue dita le toccavano, le accarezzavano. Poi lo Shinigami fu esattamente dove era stato all’inizio della conversazione.
Gongolante lo riveriva, adorava il suo timore come fosse un bello spettacolino –Accettate, quindi? -
- S… sì… - rispose - … purché mi diciate il vostro nome -
- Non ho un nome, non più almeno -
- Avete mai avuto un nome? -
- Sì, un tempo -
- Qual’era? -
Si chiese che importanza potesse avere, soprattutto ora che tutti i noiosi accordi erano stati presi e il gioco poteva avere inizio.
- Siete sicuro di volerlo sapere? Potreste maledirlo, maledire il nome che vi dirò fino a consumare la vostra anima -
- Volete farmi credere che ve ne importerebbe davvero? - scosse la testa, senza rispondere all’ovvia domanda.
Non rispose “In effetti no”, perché gli pareva piuttosto irrispettoso farlo. –Seishiro - concluse infine.
- Seishiro - ripetè, con improvvisa determinazione. Ogni problema risolto tutt’ad un tratto… o forse no?
- Ora devo andare… - disse Seishiro, in un inchino profondissimo.
E come la nebbia gliel’aveva mostrato lo nascose alla sua vista, inghiottendolo in un boccone.
- …a presto, mio bel Principino -


Fu nella sua camera non appena realizzò di essere solo, privo di difese, ed immaginò l’ombra di un sogno a celarlo agli inseguitori.
Il suo letto era già sfatto, ma gelido, come se nessuno si fosse occupato di riordinarlo da molto tempo dall’ultima volta che qualcuno c’aveva dormito. Non aveva importanza quanta rabbia ed infantile impazienza gli comunicasse quella vista, perché non aveva altro luogo in cui rifugiarsi.
- Kamui - chiamò, e come aveva sperato ed immaginato non ebbe risposta.
Il pensiero di un profilo nero nella nebbia, lo scintillio di denti bianchi gli tornarono alla mente. Strinse le coperte sul corpo, si sfiorò la nuca con un tocco accennato dei polpastrelli. L’alba gli fece vedere le cose per come veramente erano: una gigantesca camera dalle mura fredde, i letti in disordine, ombre opache che lo fecero tremare, ancora, come fossero state nemici da cui non poteva fuggire. E poi c’era quel patto. Vantaggioso, equo, rispettabile.
Ma allora perché il desiderio di piangere lo assaliva a quel modo? Andava tutto bene. Tutto più che bene.
Il riflesso albino della luce pervase tutta la stanza, l’immagine della finestra, sbarrata da inferiate nere, lo avvolse e lo fece sentire imprigionato.
- Seishiro - dopo averlo detto la luce che lo imbrigliava in quella posizione si dissolse, e poté respirare.
Ma non poteva essere una formula magica di cui il sole aveva avuto timore, poiché l’aveva solamente pensata.
Voltò il capo, guardò in alto. Si sforzò di sembrare felice, ringraziando di aver trattenuto l’istinto di piangere fino al punto di non averlo fatto.
Non c’aveva scommesso nulla, ma stava sorridendo come s’immaginava che non avrebbe fatto mai più. Luminoso, come quell’alba.
- Mi hai chiamato, nii san*? -
- Nii chan*, bentornato… - lo salutò, vedendolo ancora con gli abiti del giorno prima - … dove sei stato? -
Kamui stava chiaramente tentando di non sciogliersi in reazioni un po’ troppo apprensive, ma l’espressione che Subaru si vide rivolgere fu comunque mortalmente bella, in tutti i sensi - tanto che, nel profondo di sé, non poteva neanche credere che una creatura simile fosse sua gemella - . Il suo fratellino, imbronciato, si rifiutò di primo acchito di dire qualunque cosa ed in qualunque modo. Assottigliò gli occhi violetti e sanguinei, corrucciò la piccola bocca, disponendo i dolci lineamenti ad un tentativo di minaccia.
- Ma guarda un po’, stavo per chiedertelo io -
- N.. no… non avevo sonno… -
- Nemmeno io -
Subaru si stese e scostò le lenzuola col quale sembrava volersi soffocare, poi si ritrasse facendo segno al fratello di sedersi, che riluttante accettò.
Kamui poggiò il capo su un lembo del fazzoletto bianco che Subaru aveva legato al collo, in modo che la sua vista vi affondasse, gl’impedisse di fissarsi sugli occhi di suo fratello. Ma, da lì sopra, riusciva anche a sentirne il respiro e i battiti accelerati. Disturbato dall’imprevisto fece finta di niente, e fissò bianco su bianco e il ritmo di sospiri prolungati.
- Sei nervoso? - chiese Kamui.
- Ovvio -
- Stai respirando troppo velocemente -
- Non posso farne a meno - rise, dispiaciuto di non potergli trasmettere la tranquillità - la serenità che quella postura di solito dava loro - .
- Sei troppo buono, Nii san - palesemente polemico sbuffò e affondò il volto ancora di più in quel petto.
- Non posso fare e meno nemmeno di questo, presumo… - non doveva apparire come una cosa di cui dispiacersi, no?
- … sai che questa situazione non mi piace. Non m’è mai piaciuta -
- Finirà presto -
- Non finché la vedrai in quel modo, Nii chan. Non sono d’accordo con te, devi fartene una ragione -
- È difficile, lo sai. Ma per adesso vorrei soltanto evitare che tu sparisca da sotto i miei occhi da un momento all’altro -
Subaru sembrava confuso, mentre sbatteva le palpebre in modo flemmatico –Non ho mai fatto niente del genere -
- Te ne stai preoccupando troppo e nella maniera sbagliata… - disse Kamui, chiudendo le porte ai ricordi degli occhi di suo fratello come mai prima d’allora. - … sono mostri. ma non c’è bisogno che te lo ripeta -
- Fidiamoci l’uno dell’altro… - concluse Subaru - … ed andrà comunque tutto bene -
Avrebbe dovuto fargli vedere quale assurdo errore avrebbe commesso, ma sapeva che non ci sarebbe mai riuscito. Forse il primo a star sbagliando era proprio lui, e la premonizione, lo Shinigami, tutto cercava di persuaderlo a capire che era così che doveva andare. Non c’era nulla da spiegare, null’altro da fare. Ed allora si fidò di quel destino manipolato che aveva deciso di generare, perché non aveva altra scelta, e la vita di Kamui era la cosa più preziosa che aveva. Mentre lo pensava si accorse che la sua mano stava accarezzando la testa posata sul suo petto, dolcemente.
Kamui aveva annuito, improvvisamente serafico, quasi fosse impegnato a trattenersi dal miagolare o fare le fusa, e Subaru rise intenerito.
Afferrò una ciocca dai neri capelli scompigliati, rendendo il movimento leggero e rilassante.
- Perché hai i capelli umidi? -
- Non lo so… - la voce aveva un tono assonnato, sbadigliò. - … forse è solo un po’ di condensa -
Ma non gli parve verosimile. E guardandosi le mani s’accorse che erano fradice. Le ritrasse di scatto, catalizzando uno sguardo perplesso su di lui quando non avrebbe dovuto dare nell’occhio, ma non vide altro che sangue colargli sui polsi e le braccia e non fece nulla per evitarlo. Kamui, coi capelli gocciolanti di grosse perle rosse, aspettava che lo rassicurasse, ma lui non n’era capace.
- Fratello… - chiamò Kamui, grondando sangue dalla bocca.
Si riscosse, quel sé stesso ghignante che aveva cercato di dimenticare versò le sue lacrime sul terreno arido dei suoi pensieri, il tozzo boia gongolante rise di lui, come fosse un fenomeno da baraccone, agitando la falce nell’aria scarlatta. Per quanto cercasse di mantenersi calmo, il mondo intorno a lui cambiò e mutò e scomparve come sbarrò le palpebre per non vederlo. Il respiro che l’aveva cullato lo sbalzò e scosse i suoi nervi, e Kamui capì che c’era qualcosa che non andava. Ma Subaru aveva chiuso gli occhi, la via più semplice per capire cos’era quel qualcosa, e voltato il viso lontano da lui.
- Un brutto sogno - rispose, precipitosamente, ad una domanda che non era ancora stata fatta.
- Sei sveglio ora -
- Non del tutto… - respirò profondamente, gonfiando il petto - … de… de… devo ancora svegliarmi del tutto -
L’altro annuì, convinto solamente perché la luce del sole rendeva le immagini troppo chiare perché potessero nascondere qualcosa. Tutto ad un tratto la cosa lo infastidì, e le tende di merletto bianco la celarono obbedendo al suo ordine. La penombra rendeva quella posizione ancora più comoda, più dolce, e Kamui desiderò non andarsene mai. Subaru vide il sangue brillare nel buio, burlarsi di lui, ed ebbe terrore. Desiderò svanire e divenire nebbia, in mezzo a quella nebbia innamorata di lui.
- Il duello… - sussurrò Kamui, non perché avesse paura di parlarne. - … hai paura? -
Il duello. Se n’era dimenticato. Avrebbe dovuto sfidare suo fratello, utilizzare contro di lui la sua arte magica, tutto per un trono che non desiderava. Deglutì, fece su e in giù con la testa senza affermarlo chiaramente. Mancavano pochi giorni, e prima di allora non aveva fatto altro che pensarci, ossessivamente, e fu come se la notizia fosse dell’ultimo minuto.
- Stavo pensando di lasciar perdere -
- Non puoi, è la procedura. Nessuno dei due può diventare Re se non dimostra prima di esserne degno battendo l’altro -
- Ma è inutile, nii chan… - cercò di fargli notare. - … tutti sanno che tu sei più adatto di me. E smettila di parlare in questo modo! -
- In questo modo? Intendi come se avessi inghiottito uno dei “manuali del perfetto sovrano” di Kanoe san? - rise, pensandoci.
Subaru assunse un espressione imbronciata che Kamui non ebbe il tempo di ammirare a dovere - … in ogni caso non saprei darlo per certo -
- Niente può essere dato per certo… -

<i> - Sa come finirà questa bella storia? Sa cosa dice questo libro a riguardo dei due bei principi gemelli? -
- Niente… - rispose, con quanto buon senso avesse dentro di sé - … niente che non sia ancora accaduto -
- È accaduto, anche se non lo è ancora. Io posso cambiare i fatti scritti qui sopra… - indicò il libro - … e posso farlo in modo che voi ne siate pienamente soddisfatto - </i>

Quell’affermazione gli era parsa sbagliata non appena l’aveva pronunciata. Poi tutt’ad un tratto lo Shinigami era di nuovo davanti a lui, ridacchiante, che si beffava tacitamente del suo essere ingenuo. La promessa di non esserlo più erano solo vane parole senza significato, ma aveva voluto provarci lo stesso. E del risultato delle sue azioni non conosceva che una minima conseguenza.
Lo Shinigami rideva di lui, conscio di tutto ciò che lui non sapeva. Avrebbe potuto dirgli tutto, come non dirgli niente, come starsene ad assistere dal basso dell’inferno - o dall’alto del paradiso - al teatrino scalcinato dei viventi stonati ed incapaci d’ogni talento.
- Mi metti tristezza, Nii san. Smettila tu di parlare o non riuscirò a dormire -
Subaru annuì, dandosi del pazzo da sé, accogliendo la battuta senza senso dell’umorismo. Ma quel bel gatto aveva già rimosso il discorso, le cose inutili e spiacevoli. Si strusciava inconsapevolmente su di lui, si tenne ai fianchi stretti del Nii san e pose le loro gambe in un incrocio di nervi rilassati e tesi fino allo spasmo.
Sussultò, perché le sue mani sui suoi fianchi divennero improvvisamente più grandi e la stretta più forte.
- Seishiro - mormorò, e ringraziò che Kamui stesse dormendo.
- Seishiro… dov’è… Signor Seishiro? - ma per quanto lo chiamasse tutto quello che otteneva erano stralci di visioni deliranti che gli comprimevano il cervello. E più invocava la morte, più la vita lo uccideva. Invocò lo stesso nome una, due, tre, quattro, cinque volte per poi ricominciare.
Fuori dalla finestra la nebbia si confuse nella luce del giorno, vagò smarrita.
Dormì con fatica, soffocato dal profumo avvelenato dei capelli dei Kamui sotto le narici.
Il Signor Seishiro non venne mai a porgergli i suoi saluti.
Né a ridere di lui.


- Che stai facendo Nii chan? -
Il tono di voce con cui lo chiese era circospetto, e Kamui ricambiò l’atteggiamento allo stesso modo.
- M’annoio - sentenziò il suo Nii chan, aguzzando la vista per prendere la mira.
In contrasto alla sua diplomazia, che gl’imponeva di rispettare tutto e tutti, Kamui s’ingegnava il più possibile per non farlo.
- Oh va bene, scusa se ho chiesto - fece sarcastico, rilassando la schiena sul muretto e fissando le gambe tese di un Kamui il cui resto del corpo era proteso nel vuoto.
Per la precisione voleva centrare dall’alto della balconata la generosa scollatura di Kanoe san, con un lucertola che era andato ad acchiappare chissà dove. Non che condividesse la cosa, ma per contraddire Kamui quando si mette in testa qualcosa ci vuole un grande equilibrio dello spirito - di cui in quel momento era ampiamente sprovvisto - .
–Non eri sempre la voce della mia coscienza, una volta? -
- Mi stupirei se l’avessi ascoltata anche una sola volta, la tua coscienza. Probabilmente ha perso la voce da tempo -
- No, infatti… - si stava preparando a scagliare il colpo - … io ascolto solamente te, nii san -
- Appunto, quando non faccio la parte della tua coscienza. Ed ecco spiegato il motivo per cui c’ho rinunciato -
- Oh va bene, scusa se ho chiesto - gli fece il verso.
Subaru stette a far brillare la punta dell’indice di un po’ d’energia magica che mutava colore in un bel moto rotatorio, quando udì distintamente la consigliera reale squittire interrompendo il suo encomiabile ed occasionale discorso sull’attuale situazione politica del paese. Non aveva idea di chi fosse stato il suo interlocutore, ma venne piantato senza molte cerimonie. In un batter d’occhio Kanoe era davanti a lui e alle spalle voltate e tremanti –a causa delle risate - di suo fratello.
- Buon pomeriggio, principini - li salutò, ma dovette tirare il mantello di Kamui per qualche secondo prima che si decidesse a voltarsi nella direzione da cui il pericolo incombeva. Quando la vide Kamui mutò la risata in un irritante espressione affranta.
- Buon pomeriggio a lei, Kanoe san. Proprio una bella giornata per l’affermazione della civiltà, eh? -
Kanoe incrociò le braccia sul seno prosperoso, - e lo sembrava ancora di più a causa dello strettissimo corpetto e l’ampia campana della gonna di raso nero - squadrandoli da capo a piedi e chiedendosi per quale arcano motivo doveva fare da balia a due mocciosi che puzzavano ancora di latte.
Che i viventi amassero festeggiare la propria vita e il proprio potere, persino quando queste cose erano così vicine all’esser messe in discussione, era qualcosa che Subaru avrebbe dovuto sapere, o perlomeno intuire da come il mondo là fuori si faceva sempre più nero, e la corte sempre più “regale”. Ma era la tradizione e, se la precedente progressista Regina non aveva potuto cambiarla, dubitava di poterci riuscire lui.
Si limitava semplicemente a scuotere la testa agli sfarzi ingiustificati, sorridere e passare oltre.
Ma Kanoe era una donna di lussi e lucida analisi per ottenerli, quindi nessuno dei due era ancora riuscito ad averci a che fare senza provocare danni. E se lei voleva sfarzi, lussi - e impegni diplomatici - così doveva andare –manco fosse stata destinata lei a dirigere la baracca - .
- Ovviamente… - rispose, con aria di sufficienza. - …ma mi chiedo cosa facciate voi qui -
- Niente - fecero in coro.
- Ironia di bassa lega, Kamui san -
Kamui non fu contento del suo assenso silenzioso, ma Subaru gli fece accettare il fatto senza troppi urti delle sue occhiatacce –perché nessuno al mondo riuscisse a pensare la sua persona diversamente da quella di un angioletto senza macchia non era poi un grande mistero - .
- Come procedono i preparativi? - tentò quindi saggiamente di deviare il punto del discorso.
- Ottima domanda, Subaru san -
- Davvero? - chiesero, di nuovo in coro, e con un tono ancor più strascicante.
- Davvero… - assentì - … ma c’è un particolare che forse vi sfugge, principini -
Non che lo si fosse fatto apposta, ma ebbero come l’impressione che l’argomento di quel discorso nemmeno portato a compimento fosse improvvisamente piombato in mezzo a loro. Kanoe s’interruppe guardando la cascata di capelli biondi con una certa irritazione. Subaru rise perché quell’ “argomento” aveva la tenera e problematica capacità di “piombare dall’alto della divina virtù”, per l’appunto, sempre nel luogo sbagliato e nel momento sbagliato.
- Kamui san! - esclamò la nuova arrivata.
- Kotori san… -
Kotori, la suprema sacerdotessa dell’impero, gli si avvinghiò addosso nemmeno un secondo dopo la sua fumosa apparizione.
- Vi stavo cercando! -
- Ko… ko… Kotori san… -
- Sì lo so che questo è il mio nome! Non è proprio questo il punto! - disse, come se ci fosse bisogno di specificarlo.
- Lo spettacolo! Lo spettacolo! - lo sballottò poi, dimenando la bislunga chioma dorata e la tunica bianca tipica di chi rivestiva il suo ruolo.
- Lo sapevo che ve n’eravate dimenticato! -
- Regolare - annuì Subaru, critico.
- Taci Nii san! Non è assolutamente vero! -
- Mi avete delusa! - mise su il broncio lei.
- L’hai delusa -
- E smettila pure di fare il pappagallo! -
Si chiedeva come riuscisse suo fratello a sembrare lo stesso candido angioletto anche mentre si sforzava di mettere tutte e cinque le dita nelle piaghe altrui. –Dobbiamo sbrigarci! - aveva intanto sentenziato Kotori, ed un secondo dopo nei paraggi non erano rimasti che una Kanoe con un fastidioso tic all’occhio destro ed un alterazione evidente, ed un polverone indistinguibile.
- Tsè, mocciosi - considerò, scuotendo il vestito con stizza, prima di mescolarsi a sua volta alla marmaglia.
L’atrio della cattedrale gotica del castello, infatti, era già gremita di gente. La balconata che circolarmente lo costeggiava –come un arena che galleggiava nel vuoto - levitava a poca distanza dalle teste degli spettatori sottostanti. Subaru non aveva mai amato quel luogo, perché per quanto si fosse sforzato non era mai riuscito ad averne ragione, neanche utilizzando la sua immeritata autorità di principe. L’ordine delle cose non andava cambiato, la sensibilità di un bel principe –che non aveva molta più importanza di una bambola di porcellana sulla mensola di un democratico paese delle meraviglie - non andava urtata fin quando non si sarebbe potuto buttare via. Il popolo accolse le due rose annusando e lodando. La sacerdotessa fece gli onori di casa, radiosa, s’inchinò e ringraziò per loro perché delle bambole non possono arrivare a tanto.
- Aspettavano soltanto voi -
- Nessuno gliel’aveva chiesto - Kotori riuscì a tappare la regale boccuccia di Kamui prima che qualcuno potesse carpire sconvenienti affermazioni.
Perlomeno, anche se impossibilitati ad esprimere il loro dissenso, i due ringraziarono che la dolce ragazza –si fa per dire - non si fosse accorta che anche il loro abbigliamento era sconveniente –giacca nera, pantaloni neri, fazzoletti sgualciti al collo e niente di scintillante o prezioso sulle loro persone - ma andava più che bene così. Proprio una gran fortuna.
Perciò Subaru afferrò il braccio di Kamui, lo calmò con un serafico sorriso, e lo fece sedere sui loro troni di stoffa rossa.
- Sorridi e annuisci, fratellino, e ne usciremo salvi… se tutto va bene - concluse, sussurrando.
- Sei davvero rassicurante, nii san, lasciatelo dire. Grazie davvero -
- Prego, non c’è di che - rise.
Le consigliere reali apparvero in quel momento nei due troni che stavano al capo opposto dell’arena galleggiante. La folla le accolse con impazienza e frenesia, e rassegnati decisero di stare a guardare quale inutile circense giocattolino le due avessero deciso di offrire al volgo quella volta. Non c’era molta altra scelta, in verità.
- Cittadini dell’impero… - prese la parola Hinoto - … che in questo giorno si celebri l’apertura dei gloriosi giochi dell’avvento all’incoronazione! Che ci si rivolga al glorioso futuro, per rendere onore alla luce del prossimo reale sovrano di queste terre! Nella loro maestosa grandezza i principi si compiacciono di offrirvi ogni cosa vi delizi il palato e gli occhi…* -
- Ma veramente noi non ne sapevamo nien… - Kamui si zittì in seguito ad piccolo cenno di Kotori che gli fece girare la testa per almeno tre minuti.
- … Le due splendide rose dell’impero designano questo giorno per rallegrare il popolo di Ohkawa con uno storico incontro… -
- Incontro? - quella parola suonò sinistra nelle sue orecchie. Rabbrividì, e puntò lo sguardo in quello d’Hinoto che, da quella distanza, di lui non poteva vedere che un puntino nero e verde.
Non volle credere che stessero andando di nuovo contro la sua volontà.
- Che cosa significa? - si chiese, senza pretendere da nessuno nessuna risposta.
- Non credo che… - Kamui non finì la frase, forse perché non aveva proprio niente di sensato da dire.
- … Tornano alla Regia Cattedrale le creature che più divertono il vostro animo! Sperando che nei cieli misericordiosi non ne abbiano troppo a male… - Una delle porte che stavano ai due lati minori dell’atrio venne spalancata in quel momento da un gruppo di guardie. Hinoto aveva smesso di parlare, tutti sembravano già aver compreso più che bene come il suo discorso sarebbe continuato, perciò alzava il mento ed osservava la sua stessa opera con un certo compiacimento nella linea deviata della bocca.
- Non è possibile… - sussurrò Subaru. “Cieli misericordiosi”.
Era probabilmente a lui che si stava riferendo.

*Nii san= fratello maggiore
*Nii chan= fratello minore

<b>NOTE FINALI!</b>
Cioè, seriamente, basta con sti secondi posti!
Sono disposta pure ad arrivare decima, ma sono stanca sempre di vedere quel due! Pensandoci bene devo avere la “maledizione del secondo”.
Al secondo esame di pratica della patente (a cui naturalmente sono stata bocciata) mi sono presa un attacco di panico e non riuscivo a ricordarmi come si metteva la seconda. Alla seconda interrogazione del pentamestre di matematica m’è preso un altro attacco di panico e non mi ricordavo la formula di risoluzione delle equazioni di secondo grado. E per giunta… QUESTA È LA QUINTA VOLTA CHE ARRIVO SECONDA!
Bastaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa!
Ok, scusate lo sclero xD
Spero vogliate lasciare un commentino.
Owari, al secondo capitolo!




...Continua nel prossimo capitolo


 
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