Manga e Anime
creata dalla serie "KUROSHITSUJI":
"*DEVIL'S LOYALTY*"
una fanfiction di:

Generi:
Dark - Introspettivo
Avvisi:
What if? (E se...) - Coppie Shounen Ai - One Shot
Rating:
Per Tutte le età

Anteprima:
Gli umani l’avrebbero chiamata lussuria, quella sensazione, ma non era poi così sicuro nel dirlo. O desiderio, vizio, semplicemente fame, sete.SebaCie

Conclusa: Sì

Fanfiction pubblicata il 06/11/2009 20:03:37
 
ABC ABC ABC ABC




<b>Titolo: </b> Devil’s loyalty
<b>Fandom: </b> Kuroshitsuji
<b>Autore: </b> Lady Kokatorimon
<b>Genere: </b> Dark, suspence, introspettivo, drammatico.
<b>Avvertimenti: </b> Shounen ai, one shot, What if.
<b>Rating: </b> Verde.
<b>Credits: </b> I personaggi appartengono a Toboso Yana e non ne faccio utilizzo a scopo di lucro. La citazione appartiene a Miss Rice.
<b>Introduzione: </b> Nell’oblio di un sogno Ciel e Sebastian parlano, senza più nomi, senza più ricordi.
L’umano che parla al diavolo cui ha promesso la propria anima.
Mancano solo ventiquattr’ore prima che l’anima di Ciel venga presa e i dubbi, le incertezze, le questioni in sospese, vengono alla luce.
L’onnipotenza di Dio, la malvagità del Diavolo, i ricordi cancellati dall’oblio sono messi in discussione.
Persino la stessa lealtà del servo che gli è stato sempre accanto.
<i> - Mi tradirai? -
- Mai -
- Perché? -
- Il contratto me lo impedisce -
- E tradirai te stesso? - </i>

<b>Note dell’autrice: </b> Ho scritto pensando al manga, quindi Sebastian non ha ancora preso l’anima di Ciel. È una delle mie fic oniriche piuttosto monotone e psicanalitiche che di solito non capisce quasi nessuno, ma spero che possa essere compresa almeno un poco xD buona lettura!
<center><b>• TERZA CLASSIFICATA A “QUELL’INFERNO DI CONTEST” (su Kuroshitsuji) DI DARKROSE86!
• SESTA CLASSIFICATA (su 11) ALLO “A STORY FROM A QUOTE” CONTEST DI BLACKICECRYSTAL! </b> </center>


<b><i><center><b>Uomo.</b></center></i></b>

<i><center>Il Diavolo è malvagio?
Non avrebbe saputo dirlo, né prima né dopo averne invocato uno, in lacrime e con la dignità sotto le scarpe.
Lo aveva fatto come fanno i bambini quando non si sta alle loro regole, oltraggiato e messo in discussione senza preavviso e senza concessioni.
Non amava ricordarlo, quanto non amava sperare in qualcos’altro oltre ciò che promisero quel giorno, in una dimensione nera e sospesa come su un enorme ed infernale ragnatela.
Era già stato rassegnato a morire insieme ai suoi genitori assassinati e non vendicati, ed era colpa sua.
Colpa di quella truffa che aveva insinuato in lui una sicurezza che alla fine gli sarebbe stata tolta.
Il Diavolo che aveva invocato avrebbe preso la sua anima?
Non lo sapeva.
Non lo voleva.
Lo sperava con tutto sé stesso.</center></i>

<b><center><i>Diavolo.</i></center></b>

<center><i>Quante anime ci sarebbero volute per saziare la sua fame?
Ne aveva ingurgitate indiscriminatamente sentendo che la voragine nel suo stomaco aumentava ed aumentava ancora.
Ogni volta che vi guardava dentro le vertigini lo assalivano ed il suo appetito necessitava di essere soddisfatto ancora, ed ancora.
Gli umani l’avrebbero chiamata lussuria, quella sensazione, ma non era poi così sicuro nel dirlo.
O desiderio, vizio, semplicemente fame, sete.
Curiosità. Curiosità nella volontà irrefrenabile di sapere che sapore avrebbe avuto l’anima successiva e se mai avrebbe potuto appagarlo per sempre.
Pensando a lui si sentiva curioso, curioso di sapere cosa avrebbe fatto e come il suo essere si sarebbe arricchito.
Dopo di lui?
Dopo di lui ci sarebbe stato ciò che gli umani chiamano ricordo, ma privo di nostalgia.
Pensando a questo la voragine tornava, e si rendeva conto di aver distolto lo sguardo da essa per guardare lui, per desiderare lui.
Senza di lui il nero vuoto della sua fame lo avrebbe divorato.
Lo sentiva.
</i> </center>


<i><b>Ha un volto. Una mente insonne e un indole insaziabile. Non lasciarti sopraffare dalle vertigini. Non cercare di ricordare.
Da “Memnoch il Diavolo” di Anne Rice.</b></i>

- Se vi dicessi che prenderò la vostra anima tra ventiquattr’ore, che cosa fareste? -
Lo guardava, nell’immenso spazio bianco di quello che sarebbe dovuto essere un sogno. Non un incubo, non un idillio che i ricordi del passato conservavano nella sua mente senza più avere la realtà di cui nutrirsi. Un orologio grande quanto la sua faccia, che ticchettava al movimento di una lancetta lunga quanto il suo indice ed il suo pollice messi assieme, cercava di scandire un tempo che non esisteva più.
La figura del suo maggiordomo era apparsa, non per salvarlo perché non gliel’aveva ordinato, non per salvarlo perché nessun sogno avrebbe potuto mangiargli l’anima o stringergli un cappio attorno al collo. Doveva conservare la sua anima in una teca di vetro nero, alimentarla con cibo invisibile ed insapore, serbarla per il diavolo che aveva a fianco. Perché era lì, sorridente, una macchia nera nel bianco che premeva per cancellare la sua esistenza.
- Non mi lasceresti il tempo per preparare il funerale, temo. Sarebbe alquanto scortese -
Lì poteva svolgere il suo compito senza pericolo, lasciar languire quel cibo nel suo contenitore mentre lui lo fissava, affamato, con la lingua sulle labbra sottili e la pazienza delle creature immortali. Il diavolo che il suo grido di disperazione aveva richiamato dall’Inferno e che era giunto al suo cospetto con un sorriso sulla faccia da schiaffi, un contratto da siglare col sangue ed una proposta in perfetto equilibrio tra vantaggi e sacrifici.
Era lì dove nulla poteva fargli del male, inutilmente.
- Non c’è nulla da cui tu debba proteggermi qui -
Non c’era nulla su cui sedersi, nulla su cui poggiare lo sguardo che non fosse lui e i suoi dannati occhi inumani.
- No, infatti -
- Che cosa vuoi? -
- Mi accerto del fatto che il mio pasto venga cucinato a dovere -
Bianco, oblio, dimenticanza e lui, il suo desiderio e le sue labbra. Toccò le proprie con un dito, in un movimento ipnotico, immaginandoselo: il sapore di un anima che valesse un simile digiuno. Poteva essere dolce, come terribilmente salata di pianto, come amara di odio al punto di valerne la pena quanto per una tazzina di caffè un po’ troppo forte. Non se l’era mai chiesto, ma quel che avrebbe dato era davvero sufficiente?
- Tempo di cottura? - indicò quindi l’orologio che aveva fissato per minuti, ore, giorni, anni, millenni, sorridendo come se non avesse significato per lui.
- Va controllato di tanto in tanto -
- Come il contratto? -
- Come il contratto -
Il suo maggiordomo fece scintillare gli occhi scarlatti, in un sorriso furbesco.
- È singolare, non credete? - disse.
- Cosa? - sorrise, davanti alla forma irrigidita del corpo del suo padroncino che spiccava sulla scenografia, minuta, dritta e corta come la lancetta delle ore che muoveva un passo alla volta, ma che puntava all’ora successiva con assoluta decisione. Le guance, tuttavia, erano ancora paffute come quelle dei bambini, e si gonfiavano un po’ quando voleva dimostrargli disappunto. In quel momento lo erano.
Gonfie, orgogliose, infantili ed assolutamente divertenti da guardare.
- Tra ventiquattr’ore morirete -
- Quindi? -
- Non avete nulla da chiedermi? - Lui era vestito normalmente, nero e diabolico ai suoi occhi tanto era elegante e servizievole per gli altri. L’unica cosa che la natura demoniaca aggiungeva al suo aspetto era quel senso d’assurda invulnerabilità che lo faceva sentire sicuro ed in trappola allo stesso tempo. D’altronde non era umano, era solo e solamente per questo che non riusciva a distogliere lo sguardo da lui, dalla completa amnesia del mondo che lo stava avvolgendo e che cancellava tutto, anche ciò che voleva e ciò che sperava.
- Perché me lo dici? -
- Cosa? -
- Quando morirò -
Non avrebbe fatto nulla con il suo corpo sano, la sua mente equilibrata ed il privilegio di prevedere la propria morte. Non avrebbe salutato nessuno, non avrebbe soddisfatto voglie o capricci che fino ad allora non era riuscito a soddisfare. Lui lo sapeva, e non aveva previsto quella domanda probabilmente inutile e posta per passare il tempo. Il suo padroncino sporse le labbra rosse appena gli sorrise, di nuovo, divertito dallo scintillio di pretesa e d’ossessione che illuminava il marchio lasciato nell’iride azzurra per sancire il patto demoniaco.
- L’onnipotente è un creditore estremamente stravagante, non credete? -
La sua parvenza di nobile orgoglio lo rendeva bello e patetico come le cose che, per vergogna di noi stessi e per il biasimo degli altri, si amano solo in segreto. Sensuale in modo sbagliato, in ritardo per essere bambino, in anticipo per essere adulto. S’era aspettato un'altra domanda a cui avrebbe risposto ridendo e mordendo l’aria senza farsi vedere.
- Che intendi?
- Il diavolo è leale, come impossibile da fuggire. Eppure gran parte degli umani lo rifiutano, gran parte degli umani lo amano nel profondo dell’anima, celati agli occhi degli altri -
- Blasfemo - sorrise, sprezzante e quasi divertito.
- Nulla è sacro a questo mondo, non credete anche voi? -
Il viso infantile s’assottigliò, calamitò la sua attenzione. –Non resta che convincersene quanto più sia possibile, che qualcosa sia sacro, ma tutto sta sotto la legge dell’interesse. Dio promette il paradiso e pretende vita retta, senza garanzie pretende un pagamento di cui non sa farsi nulla -
Era la filosofia di due creature diverse per forma, per affetti, per semplici gusti, così provocatoria e così coerente da sembrare comprovata. Lo scintillio del suo limitato acume umano lo attirò e lo distolse dall’invitante collo bianco e dal pensiero che la vita potesse non esistervi più.
- Si chiama fede, si chiama stupidità - lo sentì continuare, quindi.
- Il Diavolo è un debitore assolutamente ineccepibile. Fornisce la prestazione… -
- … e alla fine si prende il compenso -
- Potrete mai dire di esser stato insoddisfatto? -
Il suo era un sorriso… demoniaco, su un viso di carne che poteva marcire e prosciugarsi sul proprio teschio. Si rifiutava di rispondere, ed anche volendo non avrebbe saputo come farlo. Gli si avvicinò, si pose di fronte a lui, afferrò la cravatta con tale forza che il colletto si slacciò leggermente sul collo di gesso. Il padrone mostrò un espressione di scherno tremante e soffocata, il servitore la osservava in silenzio avvertendo lo sconvolgimento della sua anima come fosse il leggero rumore di granuli di zucchero, agitati nel palmo di una mano. La bocca socchiusa in una beffa immotivata n’esalava un poco, di quell’odore di fiori in procinto di appassire sul ciglio di un burrone.
- Mi tradirai? -
- Mai -
- Perché? -
- Il contratto me lo impedisce -
- E tradirai te stesso? - spinse indietro la testa, per un attimo, respinto da qualcosa.
Poi la piccola mano bianca non tendeva più la cravatta, e i loro visi furono vicini. –È questa la vostra ultima speranza? -
- Il mio ultimo dubbio sulla tua lealtà -
- La divorerò. Fino all’ultimo pezzo. LA DIVORERÒ! -
Cuore ed anima non coincidono. Eppure il sapore dolce e marcio delle sue labbra lo intontiva sempre di più, ad ogni battito.
Tradire sé stesso. Forse nessuno come il Diavolo era in grado di farlo senza rimorsi, senza paura di sconvolgere l’ordine.
Il collo bianco pulsava e chiamava la sua mano, l’espressione radiosa e distesa mortificava i suoi nervi.
Il calore del suo corpo morbido e fragile stuzzicava la sua fame.
- Risvegliatevi! -
- Ventiquattr’ore. Solo ventiquattr’ore alla mia morte, non è solo questo che volevi dirmi? Non è questo che volevi rimandare, DIAVOLO?! -
Il suo padroncino scomparve insieme allo spazio neutro intorno a loro, dopo averlo detto.


<i><center>Una mente insonne e un indole insaziabile.</center></i>

<i>Cosa poteva desiderare più di ciò che già desiderava?
Come poteva impedire che ciò che gli umani chiamano cuore si risvegliasse in lui?</i>
Si risvegliò da un sogno con quelle domande nella testa, lui che non poteva dormire, né distogliere lo sguardo dal mondo.
- Dovresti essere tu a svegliare me, non il contrario - il suo padroncino stava davanti a lui, con le guance arrossate, un sorriso beffardo che piegava le labbra rosse e piene, le gambe scoperte sotto la camicia da notte bianca. L’orologio sulla parete segnava le otto del mattino.
Trentadue ore. Trentadue ore erano passate.
- La febbre è andata via - constatò, quindi.
<i>Cosa avrebbe desiderato ancora, se avesse risvegliato quel qualcosa che in lui dormiva sotto la coltre di demoniaca fame?</i>

<center><i>Non lasciarti sopraffare dalle vertigini. Non cercare di ricordare.</i></center>

Scosse la testa.
Le gambe bianche e scoperte camminarono verso il letto.
Il loro movimento lo ipnotizzò tanto che quasi non udì il suo padroncino ordinargli. –Aiutami a vestirmi - .

<center><i>Non ricorderai il suo calore.
Non proverai la vertigine del rimpianto nell’oscurità eterna.
Serbare la sua anima calda sul tuo petto freddo per l’eternità, intatta.
Non lo desidererai.</i></center>

- Yes, my Lord -

<b>Note finali!</b>
Non mi viene niente da dire… in realtà è passato talmente tanto tempo da quando ho scritto ‘sta fic che non ricordo nemmeno più di che parla xD ad ogni modo è arrivata sesta e terza, e direi che è anche giunto il momento di smetterla di mandarla a tutti i contest del circondario perché meglio di così non mi poteva andare!
L’idea che volevo comunicare era un po’ complessa, quindi ho cercato di usare un linguaggio il più possibile semplice per compensare e renderla equilibrata, ma non è bastato ed entrambe le giudici hanno detto di averla dovuta leggere più volte per comprenderla a pieno. Spero non sia un operazione che dovrete fare in molti… forse non ne vale nemmeno la pena!
<b>GIUDIZI
A story from a quote: </b> http: //freeforumzone.leonardo.it/discussione.aspx?idd=8620976&p=5
<b>Quell’inferno di contest (su Kuroshitsuji): </b> http: //freeforumzone.leonardo.it/discussione.aspx?idd=8732915&p=9

<b>Banners: </b> http: //blaces.altervista.org/_altervista_ht/contest/astoryfromaquote/Posto6_2.jpg
http: //i203.photobucket.com/albums/aa161/DarkRose86/BannerLadyKokatorimon.jpg




FINE
 
 
 
 Mi piace
 Preferiti
 Invia

3 commenti
Caricando...