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MANGA.IT FANFIC
Categoria: Originali (inventate)
Titolo Fanfic: THE DREAMERS
Genere: Avventura, Fantasy, Dark, Introspettivo
Rating: Per Tutte le età
Avviso: AU
Autore: leorin galleria  scrivi - profilo
Pubblicata: 30/06/2013 18:13:55 (ultimo inserimento: 01/07/13)

Scappare non è sempre la soluzione alle difficoltà, e quando un sogno diventa troppo reale c'è bisogno di un Sognatore per svegliarne un altro.
 
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PROTOCOLLO 00 - I SOGNATORI.
- Capitolo 1° -

Vivere non è sempre facile. Quante volte le difficoltà della vita ci sembrano insormontabili... Quante volte ci sentiamo annientati o addirittura impotenti davanti agli ostacoli, o così svuotati d’energia da non essere più capaci a continuare. Esiste una forma di difesa che il nostro corpo opera istintivamente: dormire.

Noi dormiamo perché siamo stanchi, perché abbiamo bisogno di riposare la mente da pensieri e preoccupazioni. Dormiamo e al nostro risveglio abbiamo più energie per affrontare le prove di tutti i giorni, abbiamo di nuovo la forza. Giorno. Dopo giorno. Dopo giorno… Ma c’è qualcuno che arrivato ad un certo punto non ce la fa più... Qualcuno che non ha più forza per reagire o non ha più un motivo per restar sveglio... oppure, semplicemente ha paura... E allora dormire sembra essere l’unica soluzione, lasciandosi scivolare in quello che viene chiamato “il Sonno Profondo”. E’ simile al coma sotto molti aspetti, per lo più medici, e chi lo sa se forse non sono proprio la stessa cosa… Alcuni si addormentano con consapevolezza alla ricerca di una speranza, altri semplicemente non riescono più a svegliarsi. Ciò che accomuna tutti, però, è che nel Sonno Profondo inventiamo un mondo dove siamo noi i protagonisti, e siamo noi a costruire l’ambiente che ci circonda. Mondi diversi nei quali possiamo sfuggire da quello che ci fa paura, mondi così perfetti che non vorremmo svegliarci mai più. Ma quei mondi non sono reali… Sono fantasie, invenzioni della nostra mente. Descrivere il Sonno Profondo è complicato perché è un concetto poliedrico e incoerente con se stesso, contraddittorio eppure al tempo stesso perfettamente costruito. E’ molto più di un semplice sogno: nel Sonno Profondo entriamo in una condizione astratta e concreta nello stesso tempo. Siamo noi i creatori di quei mondi in cui ci rifugiamo ma quello che accade alla nostra mente all’interno del Sonno Profondo, si ripercuote con la stessa forza sul nostro corpo reale. E la morte è assoluta in vita così come in sogno. Non basta svegliarsi, non basta darsi un pizzicotto per far finire tutto… Se muori nel Sonno Profondo, anche il tuo corpo muore con te.
Per questo esistono loro. I sognatori, o “Dreamers”.. Sono persone con la capacità di entrare in risonanza con quei sogni, entrarvi e interagire con loro, modificarli e viverli con il compito di svegliare chi si è addormentato e non vuole tornare alla realtà. Al Sognatore non importa il perché ci si è addormentati, cos’ha spinto la persona che deve salvare a entrare nel Sonno Profondo. Lui ha il solo compito di salvarli da se stessi, tutto il resto non gli interessa. Non deve interessarlo. Perché se non mantiene il distacco, se si affeziona, rischia di restare intrappolato nel sogno altrui e di non essere più in grado di svegliarsi.

Protocollo 00 - I sognatori.


Durante le mattine d’estate il sole inizia presto a illuminare la giornata, e mai una volta che Nietzsche ricordasse di chiudere le tapparelle alla sera prima. Ogni mattina si svegliava disturbato dalla luce e con un gran mal di testa, ma ogni notte si addormentava esausto senza ricordarsi di chiudere le tende. A volte neanche si spogliava. Quella mattina non era diversa dalle altre: i vestiti addosso gli sembravano pesanti e puzzavano, la bocca era impastata e aveva la fastidiosa sensazione di avere la testa compressa in un involucro di alluminio. Ogni Sognatore pativa le conseguenze fisiche dei Viaggi a seconda delle proprie caratteristiche. C’era chi non sentiva niente e chi invece si svegliava devastato ogni volta. Nietzsche era un uomo robusto, dal fisico allenato e ben formato: le spalle larghe, le braccia muscolose e le linee addominali sottopelle aiutavano a dargli quel fascino che le occhiaie e l’aria stanca gli toglievano inesorabilmente. Si alzò dal letto con una certa fatica, iniziando con lo sfilarsi le scarpe abbandonandole a caso sul tappeto. Diede un’occhiata alla stanza e trasse un gran sospiro per riabituare i polmoni ad una respirazione normale. La libreria era colma di volumi di tutti i tipi e quasi tutti gli argomenti possibili. Per lo più argomenti di medicina, dovuti a quel periodo della sua vita in cui per qualche strana ragione si era messo in testa di fare il medico, “passione travolgente” terminata molto in fretta. Libri di astrologia, qualcuno di storia perché è sempre utile sapere cos’è successo nel passato per poter commettere meglio gli stessi errori. Letteratura, biologia, botanica.. Da quando aveva iniziato la sua “carriera” di Sognatore, aveva capito che i Mondi creati dalle persone, spesso si rifacevano alla realtà vissuta da svegli, ed era meglio sapere un po’ tutto di quante più cose possibili per affrontare la cosa con maggior sicurezza. E poi.. era il più vecchio del gruppo, in qualche modo sentiva il peso del “leader” e la reputazione doveva esser mantenuta. Che leader è uno che non ha neanche idea del mondo Reale in cui vive? Un altro sospiro e si alzò del tutto per dirigersi alla porta e uscire nel corridoio diretto al bagno. Dovevano essere le sei o poco più perché l’appartamento era silenzioso e non si sentiva volare una mosca. Non c’era la musica a volume esagerato di Kant, Hegel non gli urlava di abbassarla e Freud non stava smanettando con computer e microchip. C’era solo lui e la doccia, ed essendo un momento piuttosto raro, aveva tutta l’intenzione di goderselo fino alla fine. I vestiti vennero presi e sfilati uno per uno, con calma, buttandoli direttamente nel cestello della lavatrice senza neanche preoccuparsi di dividerli in base ai colori o ai tessuti. In qualche modo, la vita Reale era troppo breve -a parer suo- per poter perdere tempo a fare il bucato come dio comanda. Chiuse lo sportello e avviò il lavaggio, ascoltando la macchina iniziare a gemere e a rullare alla pari di un aereo in partenza. Un’occhiata allo specchio: il viso era come sempre piuttosto consumato, e l’immagine che gli tornò indietro a quell’occhiata era di un trentenne stanco e con una carenza considerevole di ore di sonno. Il mento vagamente ispido a causa del pizzetto, i capelli spettinati dall’aver dormito senza sciogliere la coda, gli occhi arrossati che vennero stropicciati con un gesto abbastanza annoiato prima di infilarsi sotto il getto d’acqua calda. Solo chi soffre d’insonnia cronica potrebbe capire il prezioso piacere che si prova sotto una doccia. Sembra che l’acqua faccia scivolare via la stanchezza come un manto di vischiosa pece che abbandona lentamente il corpo lasciandolo più leggero. Certo, la stanchezza rimane, ma con il tempo Nietnzsche aveva imparato a lavar via l’amarezza insieme al sudore, lo sconforto insieme alla polvere e l’abitudine insieme ai pensieri.

Quando uscì dalla doccia dopo un tempo relativamente lungo, come d’abitudine, in cucina era già tornata la vita di tutti i giorni: gli altri tre inquilini erano ormai tutti svegli, e mentre due di loro erano al tavolo a bere dalle rispettive tazze, la terza preparava il caffè per lei e per lui.
-Ciao!
-Ce l’hai fatta ad uscire da quel bagno.. Pensavamo ti fossi addormentato di nuovo.
Bene o male tutti sapevano che se Nietzsche era sotto alla doccia, dovevano mettersi l’anima in pace e aspettare il tempo necessario. Ognuno placava i nervi come poteva, in fondo, e l’ultimo Viaggio di Nietzsche era stato particolarmente impegnativo, perciò nessuno si lamentò più di tanto al suo bisogno di relax. Andò a sedersi al tavolo con un sospiro di sollievo: la doccia aiutava a calmare i nervi, la colazione a riempire lo stomaco e a ridargli per quanto possibile quelle energie che la mancanza di sonno non gli restituiva.
Freud era la più giovane del gruppo, aveva appena sedici anni. E per quanto esteticamente li dimostrasse tutti e non uno di più, a sentirla parlare dava la sensazione di star parlando con una donna più che adulta. Era intelligente, sagace, aveva la giusta proporzione di curiosità e diffidenza, ed era in grado di seguire ragionamenti anche complicati distinguendo senza difficoltà i momenti in cui poteva permettersi di fare la ragazzina e quando invece si richiedeva la pragmaticità di una hacker. Non c’era aggeggio elettronico che le resistesse, campi d’energia e password le si aprivano davanti come una schiera di pretendenti. A volte Nietzsche si chiedeva se non fosse una qualche sorta di robot inviato dal futuro… Era incredibile sapere che una ragazzina tanto particolare potesse entrare nel cervello di una persona con la stessa facilità con cui penetrasse il firewall di un computer. Per di più, la stessa ragazzina che in quel momento stava disegnando faccine sorridenti sui toast con la marmellata. Aveva i capelli di un acceso color viola, corti poco sotto all’orecchio, con ciocche ribelli che le andavano costantemente davanti al viso decisamente giovane. Due intensi occhi verdi tradivano la sua maturità in un curioso contrasto con il resto del corpo ancora adolescente, mentre si era fatta tatuare una stellina sulla guancia sinistra, poco sotto all’occhio. Era una sorta di “ribellione”, quella stellina, ma benchè lui fosse al corrente della sua storia, lei non la raccontava mai di sua iniziativa. Poi c’era Kant, impegnato anche lui a bere il suo caffè seduto al tavolo. Un ragazzo di vent’anni dalla pressione bassa e dal lento metabolismo mattutino… Capelli corti e biondi, solitamente spettinati, occhi castani particolarmente espressivi e la parlantina facile. Il mattino, probabilmente, nel periodo di tempo che intercorreva tra la sveglia e la doccia, era l’unico momento in cui lo si poteva vedere in silenzio. Solitamente aveva la stessa vivacità di un grillo iper-reattivo e la stessa propensione a parlare. Al momento invece, si era incantato a guardare i toast sorridenti di Freud con la tazza a mezz’aria tra il tavolo e la bocca. Nietzsche spostò lo sguardo verso i fornelli e li c’era Hegel… probabilmente la donna oggettivamente più bella che conoscesse. Non provava niente di particolare per lei, se non una forte amicizia, ma era un dato di fatto che fosse una donna avvenente e affascinante, oltre che esteticamente splendida: gambe lunghe e snelle, sedere sodo, ventre piatto con un malizioso piercing all’ombelico. Un seno ben proporzionato ne eccessivo ne insufficiente, mani dalle dita affusolate e curate, un collo sottile e uno sguardo talmente penetrante da darti l’idea di essere in grado di leggerti dentro come un libro aperto. Era una sangue misto, per questo nonostante la pelle avesse la stessa tonalità del cioccolato al latte, i capelli erano una morbida massa di seta color oro. La presenza stessa di Hegel, per lui, era un autentico mistero. Con un aspetto simile avrebbe potuto ottenere praticamente qualsiasi cosa avesse voluto, da un bel lavoro ad un marito ricco che la mantenesse. E con il caratterino che si ritrovava, quello che l’aspetto non sarebbe stato capace di ottenere, l’avrebbe di certo guadagnato senza particolari problemi. E invece era li con loro, un gruppo di spiantati Sognatori senza una particolare paga ne una carriera promettente davanti, ignorando la montagna di pretendenti che quasi tutti i giorni suonavano alla porta per chiederle di uscire o di dar loro una chance. Lei era innamorata dell’unico uomo al mondo che riusciva a resisterle, e già solo il fatto che nonostante tutto lei continuasse ad aspettarlo, ai suoi occhi la rendeva una creatura più unica che rara. Lei si voltò e con un sorriso tranquillo gli consegnò la sua tazza di caffè –la prima di una lunga serie quotidiana di caffeina utile a restare vigile durante il giorno- prima di andare a sedersi al proprio posto e leggere le notizie del mattino sul giornale. Osservò l’intera scena, dettaglio per dettaglio, e nonostante la stanchezza, il nervoso per il lavoro, l’incertezza e la precarietà della loro vita quotidiana, lui sorrise rincuorato e bevve il suo caffè.

Il lavoro dei sognatori funzionava in modo molto simile a quello di un detective privato. C’era un ufficio dove si riunivano, una parcella a ore, qualche debito qua e la, e chi volesse ingaggiarne i servizi andava da loro a esporre il problema. Erano segnati sul registro cittadino come “The Dreamers”, ma erano in pochi a prendere realmente sul serio la loro professione. E dire che quello dei Sognatori non era certo un lavoro come un altro… bisognava nascerci con quell’abilità, non bastava semplicemente decidere di farne un mestiere. Ma essendo una dote rara, chi ne era sprovvisto faticava a credere alla sua importanza, risultato: spesso venivano messi allo stesso gradino di fattucchieri e chiromanti, e trattati con lo stesso scetticismo. Di conseguenza, a volte capitava di avere tre o quattro casi insieme mentre alle altre potevano passare anche settimane tra un cliente e l’altro. Quel giorno era in uno dei periodi di magra, e nell’ufficio piuttosto afoso in centro città, le tapparelle veneziane erano abbassate in modo da lasciare la stanza in una viziosa penombra giallastra. Giusto per aumentare ulteriormente l’impressione nostalgica del ruolo, Nietzsche l’aveva arredato come uno di quegli uffici da detective degli anni trenta, con la scrivania e le due sedie per gli ospiti davanti alla finestra, un archivio in metallo al cui interno erano classificati i vari fascicoli dei casi di Sonno Profondo risolti e affrontati, un appendiabiti a bastone vicino alla porta e una libreria con cassaforte alla parete opposta. Senza contare le varie fotografie e qualche ritaglio di giornale appesi alle pareti. E tradizionalista com’era, si era perfino rifiutato di comprare un computer da mettere sulla scrivania, nonostante Freud avesse provato più di una volta a convincerlo.
Quando Mrs Arendt busso alla porta dell’ufficio portò un nuovo caso ai Sognatori.
 
Continua nel capitolo:


 
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