Libri e Film da libri
creata dalla serie "HARRY POTTER":
"APPASSIONATA"
una fanfiction di:

Generi:
Romantico - Introspettivo
Avvisi:
Spoiler - One Shot
Rating:
Per Tutte le età

Anteprima:
"A me il colore dei suoi capelli ha sempre fatto pensare alla lussuria."

Conclusa: Sì

Fanfiction pubblicata il 14/01/2008 20:03:38
 
ABC ABC ABC ABC




<i>Penso che sia mio dovere avvisarvi che in questa fan - fiction ci sono alcuni passaggi che sono tratti dall’ultimo libro della saga. Quindi per chi ancora non ha letto “Harry Potter e i doni della morte” potrebbero esserci degli spoiler, che sebbene non sono proprio fondamentali a livello di trama, non sono indifferenti. Per questo sono qui ad avvisarvi che se non avete letto il libro e se, cosa più importante, avete evitato come peste i tg per paura che vi potessero rovinare la sorpresa e il piacere di scoprire cosa accade, allora forse è meglio che evitiate anche questa fan - fiction. Io non mi prendo la responsabilità per coloro che non hanno letto il libro, non vogliono spoiler e si avventurano in questa one - shot. Come si dice: uomo avvisato…
Per coloro che invece come me hanno già finito la saga, spero davvero che questa piccola one - shot nata da non so bene dove, vi possa piacere almeno un po’, visto che non sono affatto un’esperta delle fan - fiction su Harry Potter. Di solito le leggo, non le scrivo, tranne qualche rara eccezione.
Come al solito commenti e suggerimenti e critiche costruttive sono ben accette.
erikuccia, come sempre. </i>









<b> APPASSIONATA </b>








[…/Tu non ti dimenticare mai di me, di me
E se non sai come dire, se non trovi le parole
non ti devi preoccupare, io saprò capire
a me basta di sapere che mi pensi anche un minuto
perchè io so accontentarmi anche di un semplice saluto…/
Laura Pausini, Scrivimi]












La prima volta che la vidi ero diretto per la prima volta alla scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts.
Era entrata nello scompartimento senza prestare la minima attenzione a me o ai miei compagni di viaggio.
Si era seduta senza dire una parola, senza soffermare il suo sguardo su nessuno dei presenti, come se si trovasse sola, come se avesse delle cose più importanti a cui pensare.
Quell’atteggiamento mi divertì.
Eravamo poco più che bambini all’epoca, e mi risultò difficile credere a quel cipiglio serio e distaccato. Quella ragazzina stava cercando di comportarsi da adulta, mentre secondo me la questione si risolveva nel semplice fatto che fosse spaventata a morte.
Io sono sempre stato un tipo ribelle: le regole non mi hanno mai costretto a fare qualcosa che non mi piaceva, mi gettavo nelle esperienze con il mio buon senso che mi malediva, e accettando ogni novità come una sfida che poteva farmi solo bene.
Con questo stato d’animo intrapresi il mio primo viaggio sull’espresso del binario nove e tre quarti.
Pur essendo un purosangue e avendo alle spalle una lunga tradizione di magia, per me Hogwarts era ancora un semplice nome tracciato con stile gotico sulle vecchie mappe o sui diplomi che troneggiavano nel soggiorno di casa mia.
Quel posto, ai miei occhi, aveva un’aurea potente, che si reggeva in piedi da secoli, con i suoi riti e le sue tradizioni. Era un posto nuovo come lo sarebbe stato per tutti quelli del primo anno che viaggiavano nella stessa carrozza. I trascorsi dei miei genitori, i loro nomi altisonanti, non mi sarebbero serviti in quella nuova avventura, perciò sapevo che avrei dovuto cavarmela da solo.
Ma questo non mi faceva paura, anzi.
Tremavo d’eccitazione al solo pensiero di conoscere un mondo nuovo, dove finalmente avrei davvero potuto essere me stesso, senza dover tollerare le scempiaggini che i miei genitori mi andavano ripetendo da anni.
Sarei stato solo io, solo con me stesso, in un mondo che poteva amarmi o cacciarmi via.
Non c’erano sfumature: mi sarei diplomato ad Hogwarts oppure sarei stato espulso.
Ognuna delle due cose andava bene, purchè fossi io l’artefice del mio destino, e non qualcun altro.
Quel senso di improvvisa indipendenza da tutto quello che avevo sempre conosciuto mi inebriava lo spirito, impedendomi di smetterla di sorrideva e di far galoppare la mente verso i magnifici giorni che mi si prospettavano davanti.
Ma in quel momento davanti avevo una ragazzina della mia stessa età, che non sorrideva, che nemmeno si torceva le mani dall’impazienza.
Se ne stava tranquilla al suo posto, senza incrociare gli occhi di nessuno, sebbene, mi resi conto, non fossi l’unico che la stesse studiando. Di fronte a me c’era un altro ragazzo che sembrava trovare interessante l’atteggiamento di quella ragazzina che sembrava voler rompere il vetro del finestrino con la forza del pensiero, visto il modo in cui fissava il vetro e, più in là, il paesaggio della campagna. La guardai ancora per un po’, chiedendomi che cosa si muovesse dietro quegli occhi fissi e gonfi.
Immaginai che avesse pianto.
Mi domandavo che cosa potesse far piangere una persona nel giorno in cui parte per la più meravigliosa delle avventure. Non sono mai stato un tipo romantico e nemmeno un gentiluomo. Non sono mai stato il tipo di persona che quando una donna piange le mette il braccio sopra le spalle, attirandola a sé e pronunciando parole dolci e soavi.
Io sinceramente entro nel panico quando una donna piange o quando qualsiasi altra persona mostra troppo apertamente la sua fragilità. In quelle occasioni o mi arrabbio, perdendo del tutto il controllo di me stesso, oppure divento un idiota che se ne sta immobile con le mani in mano, la bocca cucita e il desiderio che tutto finisca il più presto possibile.
Forse con gli anni mi sono addolcito un po’, ma quando ero solo un ragazzo non sopportavo le lacrime, perché le associavo alla debolezza.
Credo che questo tipo di arroganza fosse l’unica eredità che io abbia mai accettato dalla mia vecchia famiglia.
Ad ogni modo dopo un po’ persi interesse per quella ragazza un po’ strana, e tornai a immaginarmi i successi che avrei conosciuto in quella nuova scuola, chiacchierando distrattamente con il ragazzo che avevo di fronte. Sembrava simpatico e insieme, in poco più di un’ora, progettammo insieme un futuro che si apriva davanti a noi pieno di magnifiche sorprese.
Il nostro chiacchiericcio si interruppe quando nel piccolo scompartimento entrò un ragazzino che doveva avere la nostra stessa età, con la divisa scura di Hogwarts già addosso e lunghi capelli neri che ricadevano unti ai lati del volto smunto e appuntito.
Senza degnarci di uno sguardo andò direttamente a sedersi davanti alla ragazza dai capelli rossi, guardandola come se fosse il più succoso dei frutti. Lei solo allora staccò lo sguardo dal paesaggio e per la prima volta vidi la furia di quegli occhi verdi, una furia che negli anni conobbi sempre meglio. Il ragazzo, che sembrava così disinvolto e così interessato, abbassò gli occhi con aria colpevole.
« Non voglio parlare con te.» bisbigliò lei tra i denti, con una rabbia che fece arrossire il ragazzo che aveva davanti a sé. Guardai la scena divertito, curioso di sapere come andasse a finire.
«Perché?» chiese quell’altro.
«Mia sorella…mi odia.»
Sembrava arrabbiata, triste, amareggiata, delusa… Ipotizzai che fosse quello il motivo per cui aveva gli occhi rossi di pianto.
«E allora?» chiese quell’altro, scrollando le spalle.
A quanto pareva non ero l’unico ad avere una sensibilità che rasentava l’acciaio.
Lei lo guardò di nuovo, come se volesse strangolarlo. «Si è arrabbiata tantissimo per…» guardò verso di noi e poi, abbassando più che poteva la voce tornò a rivolgersi a quello che pensai fosse un suo amico. «…la lettera.»
«Non te la prendere Lily.» rispose il ragazzo, avvicinandosi impercettibilmente verso di lei. Mi sembrò che volesse sfiorarle una mano ma che non ne avesse il coraggio. «Quella è solo una…»
Si interruppe vedendo che la sua amica sembrava volerlo uccidere.
«Ad ogni modo ci stiamo andando, no? Ci siamo! Tra poco saremmo ad Hogwarts!»
La ragazza che avevo chiamato si chiamasse Lily, nonostante la rabbia e la tristezza, sorrise.
Allora anche il ragazzo davanti a lei si rilassò. «Speriamo che diventi una Serpeverde.»
Il ragazzo con il quale avevo chiacchierato fino a quel momento si mosse agitato al suo posto.
«Chi è che vuole diventare un Serpeverde?» chiese, attirando l’attenzione dei due ragazzini, che sembravano immersi in un mondo loro, dove nessuno poteva entrare, almeno non senza chiedere il permesso. Poi, egocentrico come l’ho sempre conosciuto, prima di aspettare una qualsiasi risposta tornò a parlare. «Io non potrei mai diventarlo. Penso che se mi smistassero in Serpeverde lascerei la scuola. E tu?»
Chiese, guardandomi negli occhi.
Io scrollai le spalle. «Tutta la mia famiglia è stata Serpeverde, da secoli.»
Il ragazzo parve molto deluso. «Mi sembravi un tipo così a posto.»
Disse quest’ultima frase con un tono che mi fece pensare ad un tipo di condoglianze. Mi misi a ridere. «Rilassati. Credo che andrò contro la tradizione.»
C’era fierezza nella mia voce.
Finalmente potevo diventare qualcuno dal semplice erede di una famosa famiglia.
Potevo liberarmi dalle catene del mio sangue, ed essere semplicemente me stesso.
«Tu dove vorresti andare?»
«Grifondoro!» rispose immediatamente, senza nemmeno rifletterci.
Il ragazzo dai capelli unti rise sprezzante, come se io e il ragazzo che presto sarebbe diventato mio amico fossimo due pulci che non capivano niente.
«Qualcosa che non va?» chiese il ragazzo, anche lui moro, ma decisamente più charmant dell’altro.
«Oh no, se tu preferisci i muscoli al cervello.»
«E tu in quale casa pensi di andare visto che ti mancano entrambi?» sbottai io divertito.
A quel punto la ragazza si alzò, guardando prima me e poi il mio amico, con aria disgustata. Poi allungò la mano verso il suo amico. «Vieni Severus, cerchiamo uno scompartimento diverso.»
Io e l’altro la prendemmo in giro, canzonando il suo tono.
Due secondi dopo erano già usciti, mentre il mio unico compagno di scompartimento gridava «ci vediamo presto mocciosus»
Io risi fino ad avere le lacrime agli occhi.
«Mi chiamo James» disse lui poi, porgendomi la mano. «James Potter.»
«Io sono Sirius Black.»
E quello, probabilmente, fu l’inizio di tutto.
L’inizio di un triangolo che mi ha perseguitato per sette anni, al centro del quale c’era sempre lei, Lily.

Lily Evans ci mise poco a diventare una delle ragazze più popolari non solo della torre di Grifondoro, ma anche dell’intera Hogwarts.
Se non fosse bastata la sua bellezza a renderla così particolarmente in vista, con in lunghi capelli rossi e i meravigliosi occhi verdi su un ovale pressoché perfetto, sarebbe bastata la sua incredibile bravura negli incantesimi e nelle pozioni.
Per una nata Babbana era quasi un miracolo raggiungere quei livelli, soprattutto visto che non era cresciuta in un ambito di maghi che potessero insegnarle a controllare i suoi poteri e che tutto quello che sapeva l’aveva imparato da sola. Aveva una mente e un quoziente intellettivo da far paura.
Sarebbe diventata una grande e temibile strega un giorno, al servizio del ministero della magia, di Hogwarts o di qualsiasi altra grande istituzione del mondo della magia.
Ma come se non bastasse, Lily era anche una gran sostenitrice delle regole oltre che una gran seccatrice. Aveva un senso del dovere e della giustizia che spesso la rendeva noiosa agli altri studenti: la maggior parte della gente la evitava, perché temeva di sentire uscire da. Quando qualcuno progettava uno scherzo o un’infrazione, lei era lì con il suo sguardo torvo e con qualche predica pronta per l’occasione.
Molti non la sopportavano.
La consideravano solo una gran opportunista che faceva tutta scena per indirizzare su di sé tutto il sostegno e la simpatia dei professori.
Per i più era solo una falsa ipocrita.
Eppure oltre quella maschera di totale indifferenza al mondo nel quale era immersa, Lily era intelligente, interessata alle cose piu disparate, fedele verso le sue amicizie, e metteva una passione immensa in tutto quello che faceva.
Davanti ai miei occhi ricordo ancora il suo volto concentrato, con gli occhi che brillavano, quando miscelava due ingredienti insieme, quando vedeva il colore della pozione diventare come quello descritto e, gettando un occhio al suo vecchio amico Piton, sorridere quando si accorgeva che anche lui ci era riuscito. Ricordo perfettamente lo sguardo rapito che aveva quando sotto un albero si perdeva nella storia della scuola che frequentava, oppure la gioia che emanava da ogni poro della sua pelle quando riceveva una lettera dei suoi genitori. Ricordo l’aria distratta e magica che aveva quando venivano decorati gli alberi di Natale o quando correva tra la neve, gettandosi a terra, muovendo il manto bianco fino a che non assumesse le sembianze di un angelo. E la ricordo il giorno del suo matrimonio, bellissima e commossa, incedere verso la navata con quel cipiglio sempre sicuro che riconoscevo dai tempi in cui quel cipiglio minacciava me e i miei amici di terribili punizioni e spifferate.
<i> «Dirò tutto quello che so, se non la smettete, e nessuno potrà salvarvi dalla punizione che meritate» </i>
Diceva sempre così, eppure alla fine non andava mai a fare la spia, rimanendo fedele ai suoi compagni di casa e di classe.
A me divertiva.
Tantissimo.
James Potter ed io ci divertivamo a progettare i scherzi più impensati, spesso anche nella sala comune dei Grifondoro, solo per vederla perdere la testa, per promettere punizioni bibliche, per poi ritirarsi nel suo mondo privato. La provocavamo ripetutamente, dicendo tra noi e i nostri amici che lo facevamo solo per rimetterla al suo posto, per farle capire che non poteva decidere per noi, per tutti noi.
La realtà è che volevamo la sua attenzione. Quegli occhi verdi furenti era tutto quello che in realtà volevamo come premio per le nostre bravate, sebbene spesso facessimo di tutto per non ammetterlo, neanche con noi stessi.
All’interno del dormitorio femminile noi malandrini – o almeno io, James e Remus – avevamo un successo abbastanza dilagante. C’era sempre qualche ragazza che lanciava gridolini strozzati al nostro passaggio, qualcun’altra che ci guardava da sotto le ciglia scure per ammaliarci, o altre, più intraprendenti che si schiacciavano contro i nostri corpi pensando che fosse l’unico modo per attirare l’attenzione dei ragazzi in generale e dei Malandrini in particolare.
Ce ne erano altre che dicevano che eravamo i ragazzi piu carini dell’intera scuola, ma che non eravamo i loro tipi. Insomma, a livello visivo e puramente estetico avevamo un successo invidiabile. Tutte le ragazze riconoscevano le nostre doti.
Tutte tranne una, ovviamente.
Lily Evans non solo sembrava del tutto indifferente al fascino di cui eravamo convinti, anche per via di tutti i commenti positivi che ricevevamo, ma continuava a guardarci con lo stesso disgusto di quel giorno sul treno, anni prima.
Sembrava che non avesse mai superato (e se è per questo neanche tentato di superare) l’astio che provava per noi, e questo, ovviamente, la rendeva più divertente e decisamente interessante.
Non c’è trofeo migliore da vincere di quello che sembra irraggiungibile.
Nel corso degli anni ( ma forse sarebbe meglio dire settimane, visto il feeling che provammo sin da subito) io e James diventammo grandi amici.
I migliori.
Intorno a noi due nacque una piccola ma potente organizzazione a cui si unirono Remus Lupin e Peter Minus.
<i> I Malandrini </i> così ci facevamo chiamare, soprattutto visto quali erano i nostri passatemi preferiti.
Passavamo il nostro tempo a marinare le lezioni e ad architettare scherzi.
Non solo per provocare Lily, ma anche semplicemente per divertirci.
Eravamo ribelli e un po’ stupidi, eppure sempre fieri di quello che facevamo.
La nostra vittima preferita era Mocciosus.
Devo ammettere che, nonostante fosse il suo aspetto trasandato a facilitare l’impresa, c’era un motivo che mi spingeva a tormentarlo ancora di più.
E immagino che per James fosse lo stesso.
Entrambi ci dicevamo l’un l’altro che il motivo per cui Mocciosus era sempre al centro del nostro bersaglio era perché era uno sporco serpeverde, un probabile mago oscuro e in più che non aveva nessun buon senso nello scegliersi gli amici, visti i rapporti che aveva con niente di meno di Lucius Malfoy.
La realtà era che entrambi sapevamo che Severus Piton aveva ottimo gusto in fatto di amici.
Per anni, era stato il migliore e unico vero amico di Lily Evans.
Ed io quanto james, pessimi bugiardi entrambi, non potevamo sopportare quel tipo di esclusività che aveva un personaggio come Piton. Era trasandato, era arroccato sui suoi bei principi di sangue puro insieme a tutti i suoi amici serpeverde, eppure sembrava essere l’unico di cui Lily si fidava, seppure fosse una mezzosangue.
Lily passeggiava spesso con lui, chiacchieravano a lezione, anche se spesso era per discutere dei tipi diversi di ambienti che frequentavano.
La ragazza non condivideva la scelta di determinati amici di Severus, maghi votati alle arti oscure che stavano prendendo la parte di quello che poi sarebbe diventato uno dei piu grandi maghi oscuri, e quest’ultimo non faceva che parlarle di me e di James. Passava il suo tempo a parlare male di noi Malandrini, a dire che poi non eravamo così differenti dai suoi amici.
Lily non era d’accordo: diceva che gli amici di Piton erano crudeli e senza giustificazioni, che prendevano di mira quelli che erano come lei, mentre noi malandrini eravamo solo dei ragazzini viziati che pensavano che il mondo fosse ai loro piedi e che non avevano mai conosciuto la parola “no” in tutta la loro vita. Nonostante tutto, quindi, Lily non aveva un’altissima opinione di noi, eppure quello che diceva Severus rimbombava nelle nostre orecchie, senza darci pace.
Noi uguali ai serpeverde?
Che accusa meschina!
E questa era un’accusa che faceva bollire il sangue a me e a James, perciò in quei giorni di primavera lui divenne ancor maggiormente vittima delle nostre cattiverie, finchè un giorno esagerammo.
Erano da pochi usciti i risultati dei G.U.F.O. e le giornate erano calde e soleggiate. Noi Malandrini passavamo gran parte del nostro tempo fuori all’aperto. James aveva sempre quel dannato boccino d’oro tra le mani, procurando le crisi isteriche di Remus, che perdeva la pazienza ogni volta che james faceva del salti per riprendere il boccino che aveva gettato troppo in alto.
Peter invece stava quasi sempre zitto, ascoltando quello che noi dicevamo, quasi stesse imparando a memoria quello che dicevamo. Io avevo sempre pensato che lo facesse perché desiderava essere piu simile a noi, con il successo sulle ragazze e tutto il resto.
Ora so che invece stava mettendo in atto il suo tradimento.
Vicino a noi, quel giorno, c’era un gruppo di ragazze che guardava ininterrottamente verso James, che si pavoneggiava quanto una prima donna, gettandosi indietro il ciuffo ribelle che nel corso degli anni non era mai riuscito a domare.
Fu in quel momento che Piton sbucò fuori da chissà dove.
La sua sfortuna era incredibile.
Passò davanti a quel luogo proprio quando James si stava domandando cosa fare davanti a un pubblico così impaziente.
Appena vide Mocciosus tutto si fece chiaro.
Se sono stato il suo migliore amico c’è stato un motivo: ci capivamo con una semplice occhiata, e non voglio dire che se lui voleva dirmi qualcosa lo faceva attraverso il linguaggio del corpo o degli occhi. Certo capitava anche questo, ma la realtà era che io potevo capire quello che pensava appena cambiava espressione, appena muoveva gli occhi in un modo diverso da quello abituale.
E per lui era ovviamente la stessa cosa.
Così capii subito che quel giorno, appena Piton entrò nel suo raggio d’azione, James aveva deciso già cosa fare e come comportarsi.
Prima ancora che Remus, la voce della razionalità all’interno di un gruppo di scapestrati, potesse dire o fare qualcosa per fermare Jam, Piton si trovava già sotto un incantesimo gettato dal mio migliore amico.
A testa in giu, impossibilitato a muoversi, con la veste che era ricaduta sul suo volto, e la biancheria intima, tutt’altro che linda, in bella vista, circondato da ragazzi che ridevano di lui, sospinti dall’euforia di James, Mocciosus appariva patetico.
Lo scherzo non faceva ridere, ma faceva provare pena per lui.
Ma io ero un ragazzo stupido, almeno quanto James e ci facemmo grosse risate. Persino Remus si lasciò andare ad un sorrisetto sardonico.
Era orribile, e sebbene negli anni il mio odio per Severus Piton non ha fatto altro che aumentare, mi rendo conto che quel giorno siamo stati davvero delle bestie.
«Piantatela!»
La voce di Lily giunse forte e chiara all’orecchio di James che si limitò a guardarla con aria di sfida.
Gli occhi verdi di lei erano furenti.
I rapporti tra lei e Mocciosus negli ultimi tempi non erano stati dei migliori, soprattutto vista l’amicizia che Severus aveva stretto con la mia adorabile cugina Bellatrix, personaggio che Lily odiava quasi più di noi Malandrini, il che è tutto dire.
Eppure sembrava che non fosse affatto pronta a rinunciare al suo migliore amico, né a sopportare la vista di lui reso ridicolo da quattro ragazzini impuniti.
Sapevo che se James non l’avesse finita presto, quella volta Lily ce l’avrebbe fatta davvero pagare.
Dopotutto i professori tenevano molto in considerazione la bella rossa.
Anche il mio amico parve pensarla allo stesso modo, mentre Lily continuava a ordinargli di smetterla, di comportarsi da persona civile, ricoprendolo di epiteti non troppo carini. Così, alla fine, mise giu Mocciosus, continuando a ridere senza controllo.
Pensai che Severus avrebbe lanciato qualche maledizione, o che Lily avrebbe colpito James, invece non immaginai niente di quello che accadde.
James si voltò di tre quarti, per non guardare Lily che aiutava Piton a rialzarsi.
Quest’ultimo, rosso in viso, scacciò bruscamente la mano di lei, con cattiveria e maleducazione.
Si rialzò, senza avere il coraggio di guardare in faccia tutti quelli che aveva intorno. Guardò me e poi James con uno sguardo omicida e quando Lily provò a parlargli la scacciò di nuovo.
«Non toccarmi!» urlò, allontanandosi. «Non ho bisogno del tuo aiuto <i> mezzosangue </i> »
Lily lo guardò allontanarsi e dopo un po’ guardo James con tutto l’odio di cui era capace.
«Bell’amico Evans» sentenziò il mio miglior amico. «Ecco quello che accade per aver scelto come amico uno sporco serpeverde.»
Conoscevo James e sapevo che era stato così sgradevole perché si sentiva in colpa.
Sapeva che Piton era stato così duro con Lily non tanto per il suo sangue babbano nelle vene, quanto per la sua convinzione che la sua amica avesse a che spartire con noi, che gli rendevamo la vita impossibile. Si sentiva in colpa James, ma era troppo orgoglioso per ammetterlo e così preferiva fare lo sprezzante, un atteggiamento che combaciava meglio con la sua immagine.
Lily lo incenerì ancora con lo sguardo: «Tu non sei migliore di lui. Sei semplicemente feccia!»
E detto questo si voltò, con la chioma rossa che scintillava con la brezza di quel pomeriggio estivo.

Quando quella sera vidi Lily sembrava che niente fosse successo.
Se ne stava come tutte le sere seduta accanto al camino, ormai spento, con un libro sulle ginocchia. Guardando piu attentamente però mi resi conto che non stava leggendo.
I suoi occhi guardavano il libro senza vederlo veramente.
Probabilmente per lei era stata una giornataccia.
«Ce la farà pagare.» dissi guardando James e facendo un movimento della testa verso Lily.
James la guardò, più a lungo di quanto fosse necessario. Poi si scrollò nelle spalle, tornando a guardare la scacchiera che aveva davanti. « Non dirà una parola, come tutte le altre volte.»
«Si ma…» continuai io
« Sirius piantala!» sbottò James. Era raro che usasse quel tono con me, ma d’altro canto, anche se eravamo migliori amici eravamo pure adolescenti, soprattutto eravamo esseri umani. « Se sei tanto preoccupato perché non vai a parlarci?»
«Io?» chiesi, sorpreso. «Fino a prova contraria eri tu che stringevi la bacchetta!»
«Si, ma io non sto qui a rimuginarci sopra. Abbiamo fatto un miliardo di scherzi a Mocciosus e ogni volta la Evans veniva a redarguirci, ma poi non succedeva mai niente. E se non sbaglio tu eri sempre al mio fianco a ridere o a darmi una mano. Non capisco perché stasera sia tanto diverso.»
Perché Piton aveva chiamato Lily mezzosangue e perché sapevo che questo avrebbe sancito la fine della loro amicizia, cosa che avrebbe ferito la ragazza.
Sapevo che James lo sapeva, e sapevo che si sentiva colpevole.
Quel carattere scontroso dopotutto non era da lui.
Almeno non con il sottoscritto.
«Lo sai perfettamente.» risposi io, a denti stretti. Non volevo arrabbiarmi, perché conoscevo James, e come vi ho detto quel suo atteggiamento mi diceva che la pensava come me. Ma perché allora invece di fare l’eroe tragico non poteva prendere coscienza dei suoi errori in modo da conversare come due persone civili e mature?
I giochetti mentali mi hanno sempre sfiancato, sebbene spesso io sia il primo a farli.
Dopotutto non ho mai detto di essere perfetto.
«Per quanto mocciosus non ci piaccia, » spiegai io, cercando sempre di tenere sotto controllo la mia voce e i miei nervi « lui e Lily erano amici.»
«Gran bella amicizia.» commentò lui.
«L’abbiamo provocato noi.»
«Vuoi dire che adesso è colpa nostra se l’ha chiamata mezzosangue?» domandò
Io non risposi, ma la mia espressione era eloquente.
«Sirius non essere idiota! Sai meglio di me come la pensa quel tipo di gente. Per loro contano solo i maghi con il sangue puro, che non hanno contaminazione con il mondo babbano. L’avrebbe chiamata così comunque.»
Sentivo che neanche lui credeva a quello che stava dicendo.
Per quanto sgradevole e snob fosse Piton e sebbene andasse veramente in giro a dare del mezzosangue a chiunque avesse anche un solo genitore babbano, sapevamo entrambi che teneva sinceramente a Lily e che era stata l’umiliazione a farlo reagire in quel modo.
«E poi, » proseguì «che vuoi che me ne importi? Lily Evans ha sempre fatto di tutto per screditarci e non si è mai preoccupata più di tanto di dire quello che ha sempre pensato sui Malandrini. Era ora che qualcuno la mettesse al suo posto. Mi dispiace solo che sia stato Piton a prendersi questa soddisfazione.»
Alzai le mani. «Vabè, lasciamo stare. Se tu stai a posto con la tua coscienza…»
«Coscienza?» chiese James, abbandonando del tutto la partita che stava facendo con Peter, che ci guardava preoccupato, probabilmente chiedendosi dov’era Remus quando serviva. « Guarda che non sono passato dall’altra parte della riva, non ho gettato una maledizione senza perdono. Ho fatto uno scherzo come tanti che hai fatto anche tu, quindi non farmi la paternale quando tu sei uguale in tutto e per tutto a me.»
«Forse hai ragione.» risposi «sono sempre stato il tuo braccio destro da quando sono arrivato qui, sei il mio migliore amico e mi sono divertito come un pazzo con te. Ci somigliamo tantissimo nel modo di agire, è solo che, James, io non mi faccio mai dettare dal mio orgoglio. Io lo vinco.»
E detto questo mi alzai e me ne andai in camera.

Il giorno dopo mi alzai quando il sole non era ancora sorto.
Una tinta rosea sovrastava il mondo ancora addormentato di Hogwarts.
Accanto a me James russava rumorosamente.
Sorrisi sapendo che neanche una banda di bersaglieri sarebbe riuscito a svegliarlo.
Quanto a me, sapevo che non mi sarei riaddormentato neanche se mi ci fossi messo di impegno.
Così incurante del rumore che avrei potuto fare mi alzai.
Un quarto d’ora dopo ero già lindo e vestito, e non avevo niente da fare.
Sapevo che i miei compagni di stanza mi avrebbero tagliato la gola nel sonno se solo avessi osato provare a svegliarli, perciò mi preparai ad una piccola solitudine.
Nella sala comune non c’era nessuno, e persino il castello intero, in quel silenzio, mi parve disabitato.
Decisi così di passare per le cucine, cercando di raccattare qualcosa da mettere sotto i denti, e di fare una passeggiata fuori, godendo di quella brezza leggera che era quasi impensabile nelle calde mattinate d’estate.
Quando uscii dal castello, il sole era già in cielo, ma ancora non c’era quella calura che io sopportavo a stento. Camminai senza una meta precisa, godendomi quell’attimo spasmodico di pace che andavo cercando da tanto tempo.
Finalmente ero di nuovo da solo con me stesso.
Non che la compagnia dei miei amici non mi piacesse, anzi!
Come diceva James io ero carne da baldoria.
Non ero capace di stare troppo tempo per conto mio.
Avevo bisogno del caos intorno a me.
Continuai a camminare, arrivando all’ombra di un grosso albero, sotto il quale tante volte avevo visto lily assorta in una delle sue tante letture. Nel corso degli anni avevo trattato con rispetto quell’angolo del giardino, pensando nella mia testa che appartenesse a lei sola, e a nessun altro.
Ed ora eccomi lì, da solo.
Io, Sirius Black, sempre in compagnia di quei scapestrati amici, stavo lì, completamente solo.
Sembrava assurdo.
Eppure ogni tanto anche io sentivo la necessità di starmene solo con me stesso, a tirare le somme della mia vita, fino a quel momento.
Non mi potevo lamentare.
Certo, poteva andare meglio.
Per esempio avrei preferito che i miei genitori avessero capito che il mondo non girava come pensavano loro, e che avessero capito che la faccenda del sangue puro era solo una stronzata.
Avrei preferito che avessero capito e che fossero cambiati, piuttosto che vederli sbattermi la porta in faccia, escludendomi dalla loro vita e dalla famiglia Black.
Poco male: ero entrato a far parte di quella dei Potter.
Ma sebbene adorassi quella famiglia, mi rendevo conto che non era la mia.
Quando ero a casa di James mi domando spesso come sarebbe stato vivere in quell’armonia con i miei genitori, quelli veri.
E spesso mi domandavo come se la passasse mio fratello, Regulus.
Anche con lui ogni rapporto era finito quando ero diventato un traditore del mio sangue.
Secondo i miei era quasi peggio di essere un mezzosangue.
Mi lasciai cadere sull’erba fresca, indirizzando il mio sguardo verso la chioma verde dell’albero che mi dava riparo.
Che cosa c’era poi di così importante nel sangue di una persona?
Insomma, io ero nato con quello che i miei chiamavano il sangue puro, ma cosa mi distingueva da…
Il suo nome tornava a ripetizione a sfiorarmi le labbra.
Per quanto mi sforzassi di non pensarci, non potevo farne a meno.
Davanti ai miei occhi rivedevo la sua figura esile e fiera seduta davanti al camino, con uno sguardo assente da far paura.
Mi misi una mano sugli occhi, pensando scioccamente di potermi liberare di quella visione.
Ovviamente fu inutile.
Appena chiusi gli occhi lei era di nuovo lì.
Mi domandai se quello che provavo non fosse altro che pietà.
O comunque un sentimento gettato dal senso di colpa.
Io incolpavo James, ma mi sentivo responsabile almeno quanto lui.
Forse pensavo a lei per questo: come un assassino pentito, che ogni giorno non fa che rivedere il volto della vittima a cui ha strappato la vita.
Forse il meccanismo era lo stesso.
Eppure, ammisi con una sincerità disarmante, era da quel giorno sul treno che io avevo il cervello pieno delle sue immagini.
«Maledizione!» sbottai, senza muovermi.
C’era qualcosa dentro di me che mi diceva che stavo sbagliando tutto.
E peggio: che stavo tradendo James con quei pensieri.
Che diamine avevo?
«Tu che ci fai qui?»
Come una punizione divina la sua voce venne ad insinuarsi nei miei pensieri.
Aprii gli occhi di colpo, e la vidi.
In piedi davanti a me, con le ombre gettate dalle foglie che creavano una rete fitta di strani disegni sul suo volto, dandole un aspetto effimero.
Di colpo mi domandai se non la stessi immaginando e che cosa sarebbe accaduto se avessi provato ad allungare la mano per sfiorare la punta delle sue dita.
Non ebbi il coraggio di provarci.
Gran bel Grifondoro.
«Niente di particolare.» risposi, mettendomi a sedere.
Lei mi guardò con astio.
Era successo già mille volte, eppure quella mattina quello sguardo mi trafisse da parte a parte.
«Pensavo che tu e la tua compagnia vi svegliaste solo quand’è necessario scomodarvi.»
Era arrabbiata.
Dio, se lo era.
E questo era un problema: perché la rabbia non deformava affatto i suoi lineamenti, ma accendeva gli occhi e la pelle, rendendola ancora più bella.
«Per quanto possa essere banale le apparenze ingannano.»
«Hai ragione.» rispose lei «è banale. E soprattutto è falso. Le apparenze non ingannano mai.»
Aveva gli occhi più infuocati dei capelli.
Mi stava dichiarando guerra.
Io sorrisi divertito. Avevo un labirinto confuso di immagini e pensieri nel cervello, ma non riuscivo a resistere all’impulso di stuzzicarla. «E sentiamo, cosa ti dice la mia apparenza che, a quanto ho capito, coincide con la mia sostanza?»
«Che c’è Sirius? Non ci sono abbastanza specchi nella tua stanza?»
Inarcai un sopracciglio, sorpreso. «Spiacente, non ti seguo.»
«Non c’è bisogna che ti dica io come o cosa sei.» spiegò lei «Sai bene, perfettamente come sei fatto. Per questo, se hai bisogno che sia a spiegartelo, mi domando se tu ti sia mai guardato allo specchio.»
«Parecchie volte.» concessi, senza però darle il piacere della vittoria. Almeno non così facilmente, anche perché ero sicuro che alla fine avrebbe vinto comunque. «Ma io non ho mai fatto molto affidamento sugli specchi. Oh, certo, sono l’ideale per sistemare i capelli, o per controllare di essersi messo addosso i colori giusti, ma non misurerei mai la mia vita e la mia persona sulle immagini riflesse dello specchio. Sono solo dei riflessi, dei barlumi bidimensionali di una realtà che è pluridimensionale. Se a te basta guardare lo specchio per conoscerti, sei più superficiale di quanto pensassi.»
Vidi le sue gote avvampare.
Aspettai qualche secondo, dandole tempo di preparare una risposta adeguata.
Quando vidi le difficoltà, sorrisi.
«Già a terra al primo round?» dissi, sarcastico «ed io che avevo affilato i coltelli.»
«E’ solo che…» cominciò «…stavo vedendo fino a che punto potesse arrivare la tua arroganza. Oh so bene quello che pensi.» continuò lei, fermandomi al primo cenno di voler replicare. «..So che pensi di essere un personaggio alquanto difficile da capire. La realtà è che sei di una banalità disarmante. Il solito bullo che fa delle bravate e si crede figo, che se ne va in giro con i suoi amichetti e dar fastidio alle persone più deboli, senza curarsi degli altri. La verità è che tu sei solo un egoista e un viziato, con la sua bella famiglia alle spalle...»
Sorrisi ancora, guardandola.
Era così bella che quasi non riuscivo a ragionare.
«Lily tu stai così tanto tempo a studiare che non dai ascolto ai pettegolezzi.»
«E sarebbe un problema perché…?»
«Perché quando ti lanci in una disputa verbale e fai delle accuse, devi almeno essere certa che queste accuse abbiano un fondamento. Sono un bullo? Probabilmente è vero. Che vado in giro con i miei amici è anch’esso vero, e se permetti dovresti farlo anche tu. Che dia fastidio ai deboli…ti reputi debole? E Piton anche?»
«Io…Io non ho detto che…»
«E beh? Ora rimangi la tua strategia di attacco? Noi diamo fastidio maggiormente a te e a Piton. E per motivi validissimi. Piton con le sue arie da snob, con quella sua filosofia del “puro è bello”, con i suoi amici che…se fosse per loro torturerebbero Remus senza alcuna pietà…anche il tuo severus…»
«Ma che stai dicendo? Perché dovrebbero…?»
«Perché sono degli spocchiosi che si nascondono dietro il loro naso snob. Che dietro la razza dei purosangue nascondono il timore di ciò che è diverso, di ciò che non possono controllare. Credimi, conosco bene questo tipo di mentalità, ci sono cresciuto. E questo mi fa tornare all’ultimo punto della tua divertente arringa. Tu pensi che io faccia le mie bravate pensando che qualsiasi cosa possa accadere o fare o dire ci saranno sempre i miei genitori a coprirmi le spalle? Vedi, se avessi prestato più orecchio a tutto quello che le oche della nostra scuola hanno ripetuto per mesi, avresti saputo che non ho più una famiglia.»
Vidi il suo volto deformarsi in una maschera di sconcerto.
I suoi occhi si spalancarono, così come la sua bocca, che nascose dietro le dita affusolate di una mano.
«Io…scusa…condogl…»
Sorrisi, ancora divertito, sebbene un po’ più amareggiato. « Sei così ingenua Lily, così ottimista. Tu pensi che l’unico modo per cui una persona possa affermare di non avere più una famiglia sia la morte? Beh, rallegrati. I miei genitori sono in salute e se la passano molto meglio di me, soprattutto visto i tempi che corrono. Loro mi hanno cacciato via di casa, mi hanno cancellato dall’albero genealogico, in poche parole mi hanno rinnegato. E lo sai perché? perché sono un traditore del mio sangue, perché parlo indistintamente con i maghi, con gli elfi, con i babbani…Mi hanno cacciato perché non sono crudele come quelli che ti chiamano mezzosangue.»
La vidi sbiancare.
Ovviamente il ricordo del tradimento di Piton era ancora molto forte in lei.
«Scusa…» mi affrettai a dire. «…io non volevo dire che..»
«No?»
Intrecciai le dita dietro la testa e mi appoggiai al tronco dell’albero. «In effetti mi sono sempre chiesto che cosa ti spingesse ad essere sua amica. Però non avevo il diritto di…»
«E da quando ti fai questi problemi?»
Risi. «Tu non mi conosci Lily. Come non conosci James, Remus e Peter. Ci siamo fatti guerra per sette anni quasi, ma tu non hai capito niente. Come probabilmente non ho capito niente io.»
Lei sbuffò alterata, facendo sollevare un poco la sua frangetta.
Io sorrisi, compiaciuto.
«Ad ogni modo» continuai «mi dispiace per quanto è successo ieri.»
Lei mi guardò senza vedermi.
Probabilmente la sua mente era tornata al giorno prima.
Forse nelle sue orecchie risuonava ancora quel suono fastidioso.
Mezzosangue.
«Perché ti scusi?» chiese dopo un po’, tornando a concentrarsi su di me. «Dopotutto non sei stato tu a chiamarmi in quel modo…»
«Si questo lo so, però immagino che Mocciosus fosse stato messo a dura prova ieri. Jam quando vuole sa essere davvero snervante, credimi.»
«Ma io ti credo senza difficoltà.» commentò lei, sedendosi davanti a me. «Non dimenticare che conoscono Potter. Però qualunque scherzetto non può giustificare quello che ha detto Sev.»
Avrei voluto consolarla.
Dirle che sarebbe andato tutto bene.
Che Piton aveva parlato solo per rabbia.
Tuttavia io la pensavo come lei, almeno un po’.
Nessuno scherzo poteva giustificare un’offesa di quelle proporzioni.
«Mi dispiace.» dissi infine, rendendomi conto che non c’era altra parola che potessi aggiungere.
Che non c’era niente che potessi fare per consolarla.
Dopotutto la sua opinione su di me non era delle migliori.
Probabilmente in quel momento mi stava maledicendo per averle occupato il suo posto, il suo rifugio, il suo angolo di mondo, dove tutto poteva andare bene, solo aprendo un libro.
Invece lei mi sorrise.
«Sei molto diverso di quel che immaginavo Sirius Black.» commentò guardandomi come se mi vedesse per la prima volta.
«Spero che la mia immagine non si sia rovinata ai tuoi occhi» scherzai.
«Oh no, affatto.» rispose sinceramente lei. «Hai acquisito un bel po’ di punti.»
Ci guardammo per un lungo istante negli occhi in cui io sentii un campanello d’allarme suonare come una banda di maledetti tromboni.
C’era un pericolo incombente, eppure non mi interessava.
Se quello era il cerchio di fuoco che dovevo affrontare, bhè… mi era andata particolarmente bene.
Dopotutto io ho sempre amato le sfide.
Continuai a fissarla e la mia espressione cambiò.
Il sorriso beffardo che avevo avuto fino a quel momento scomparve, lasciando il posto ad un’espressione seria e al contempo incantata.
Mi sentii invincibile.
«Indaco.» disse lei improvvisamente, richiamandomi alla realtà e rendendomi curioso.
«Cosa?» chiesi, preso completamente in contro piede.
«I tuoi occhi…sono indaco»
Scossi la testa. «No, sono semplicemente grigi.»
Si avvicinò così tanto che di colpo il profumo della sua pelle mi travolse in un’onda magnifica.
«Fidati, sono indaco. Hanno uno sfondo blu. Come il cielo, come la pioggia, e come l’oscurità. C’è molto in te Sirius, sfido che poi ti cadono tutte ai piedi!»

Rosso.
Tutto quello che vedevo davanti a me di colpo assumeva quel colore.
I particolari della nostra divisa.
I colori della nostra squadra.
Il cielo e il sole al tramonto.
Dire che ero entrato in fissa era un eufemismo.
Spesso avevo sentito dei ragazzi parlare di lei. Molte volte ne tratteggiavano con adorazione gli occhi verdi come un prato che riluce del sole d’agosto, oppure dei modi così testardi e così totalmente adorabili.
Ma il commento che avevo sentito con maggior frequenza era quello inerente ai suoi capelli.
Rossi come fuoco.
Ecco quello che dicevano tutti quanti.
Rosso fuoco.
Se devo essere sincero il colore dei suoi capelli non mi ha mai fatto pensare al fuoco.
Il fuoco è arancio, è giallo ed ha solo qualche scintilla di rosso.
Lei non si poteva definire come una scintilla.
A me il colore dei suoi capelli ha sempre fatto pensare alla lussuria.
Al piacere della carne, alla passione per il piacere.
Badate bene, non solo il piacere sessuale.
Ma il piacere come il più puro dei sentimenti umani, l’inebriante sensazione di benessere che si disperde per tutto il corpo, fino a raggiungere gli angoli più remoti dell’anima.
Un piacere che trascende il tempo, lo spazio, la situazione.
Come una carezza in punta di dita, un piacere che si anela, che si cerca, ma che è delicato e insieme travolgente. Un piacere da cui non si può scappare, ma verso il quale si corre sempre.
La lussuria pura: il piacere di per sé, senza catene filosofiche, religiose, politiche o sentimentali.
Il piacere di chi è vivo, di chi ama sentirsi vivo.
E pericolo.
Maledizione quanto mi sembrava pericolosa Lily Evans quei giorni.
Più di quanto fosse mai apparsa in tutti quegli anni di conoscenza.
Perché dietro quella lussuria che tanto agognavo, si celava una fiamma si, ma una fiamma decisamente più pericolosa del falò di cui parlavano tutti gli altri.
La fiamma della passione.
E non la mia, non quello che provavo io verso di lei.
Ma la passione di Lily Evans, la sua passione per la vita, per ciò che si stava apprestando a diventare, per la persona che voleva diventare.
La passione che metteva in ogni gesto, in ogni parola, in ogni minimo pensiero che le attraversasse la testa. Era una passione troppo forte, troppo totalitaria che io non avrei mai potuto sostenere, né comprendere fino in fondo.
E questo mi spaventava, perché mi faceva capire che nonostante tutto, se anche i miei sogni si fossero realizzati non sarebbero durati più di un fugace istante.
L’istante per lei di comprendere che io non avevo la forza per stare al pari di quella passione bruciante, totale, incandescente.
Mi sarei scottato, e di questo ne ero certo.
Ma dopotutto non corriamo lo stesso rischio tutti quanti, quando allunghiamo una mano verso il dio beffardo dell’amore? Ci tendiamo verso l’altra persona, bendati e fiduciosi, e nessuna ferita brucia più di quella dell’uomo incauto che ha fatto il salto nel buio.
La fiamma dell’amore respinto, dell’amore non corrisposto, dell’amore non compreso…non è un incendio che prima o poi colpisce tutti?
Eppure io non avevo estintori, né ricolmi secchi d’acqua con cui poter fermare quell’incendio che ormai divampava in me, da quel giorno in cui ci eravamo seduti sotto l’albero.
Nei giorni successivi a quel colloquio, quando le sue parole mi risuonavano ancora nelle orecchie come una lusinga peccaminosa, non c’era niente nel mio cervello che non avesse il suo volto.
E in più mi rendevo ridicolo ricalcando i suoi passi, cercando la sua attenzione, reclamando la sua brillante conversazione, quasi andassi elemosinando un altro commento gentile come quello della mattina in cui ci eravamo incontrati da soli.
Eppure non era più successo.
Non si era più avvicinata al mio volto per studiarmi, né avevo più colto il suo profumo.
Non mi aveva più detto che c’era un motivo per cui avevo tante fan.
Chiacchieravamo più spesso, questo si.
Eppure ogni volta sembravamo arrivare davanti ad un muro che non potevamo scavalcare.
Sembrava che lei si tirasse indietro, che volesse sfuggire alla mia conoscenza.
Immaginai che alla lunga la sua brutta idea dei malandrini non fosse affatto cambiata, nonostante tutto quello che le avevo detto in quel periodo, cercando di mettere in buona luce i miei amici.
«Tu e la Evans siete diventati parecchio amici ultimamente eh!» commentò un pomeriggio James, senza guardarmi in faccia. «Non sarai mica passato dalla parte del nemico?»
Io ridevo, maggiormente perché ero felice.
«Sai come si dice. Tieniti stretto i tuoi amici e ancora più stretti i tuoi nemici.»
Sbuffò, ma non sembrava arrabbiato. «E ovviamente a te va benissimo che il nemico da tenere stretto abbia il fisico di Lily Evans, non è vero?»
In effetti era proprio così.
Anzi: era perché il nemico aveva le sembianze di Lily Potter che avevo tirato fuori quella baggianata.
Sorrisi a James, e in quel momento sospettai che lui avesse capito.
Non so cosa mi spinse ad essere così misterioso all’epoca.
Forse se avessi parlato a Jam di quello che provavo forse lui avrebbe capito e non avrebbe fatto tante storie. Probabilmente per un giorno o due avrebbe tenuto il broncio, ma poi sarebbe andato tutto bene. Non posso dirlo con certezza, perché non è così che andò.
Sospettavo che Lily piacesse a James quanto piacesse a me, e fu la prima volta che nel mio migliore amico vedevo un rivale.
Un rivale che uscì dallo scontro vittorioso.
Non so che cosa sarebbe accaduto se avessi detto a Lily quello che provavo per lei.
Quando quella mattina si era avvicinata, perdendosi nei miei occhi, avevo avuto l’impressione che ci fosse uno spiraglio, seppur modesto, che potesse vedere me come protagonista della sua vita.
Ma forse era stato un film che avevo montato nella mia testa senza chiedere il permesso agli attori principali. Forse ero andato troppo avanti con una storia che, alla fin dei conti, non era mai iniziata.
Però per giorni mi sono chiesto che cosa sarebbe accaduto se avessi trovato il coraggio di dire ad alta voce «Sono innamorato di Lily Evans.»
Forse lei avrebbe riso di me.
Forse invece mi avrebbe detto che per lei era lo stesso.
Forse Jam mi avrebbe dato un pugno, dandomi del traditore e ponendo fine alla nostra amicizia.
Ma magari invece mi avrebbe solo dando una pacca sulla spalla, con quel suo sorriso beffardo, e dirmi che avevo buon gusto.
Rimane il fatto che io non feci mai nulla.
Eh si, l’arrogante e sicuro Black mandato K.O. da una ragazza.
Senza il coraggio di dire la verità, senza il coraggio di fare quel salto nel buio che, a distanza di pochi mesi, James aveva fatto, con la sua solita tracotanza.
Ma da quel salto James era caduto in piedi.
Perché c’era Lily ad aspettarlo.
Sapete, la verità è che non credo che sarebbe cambiato niente.
Ci sono persone che sono fatte per stare insieme, e punto.
Alcuni le chiamano anime gemelle.
A me non va di essere così schifosamente banale.
Però se davvero sono mai esistite due anime uguali che avevano bisogno dell’altra per restare in vita, allora quelle anime erano sicuramente quelle di James e Lily Potter.



FINE




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